venerdì 19 settembre 2003

Malacca - Malesia, 19 settembre 2003

Lungo la strada che porta a Malacca c'è la solita distesa di palme da olio che domina il paesaggio rurale malesiano un po' ovunque. Sarebbe una bella vista se gli alberi non fossero disposti lungo le file regolari delle piantagioni. Una studentessa di economia incontrata l'anno scorso sull'autobus per Taman Negara mi spiegava che per decenni la Malesia è stata un eccezionale produttore di gomma naturale, ma negli ultimi anni si è convertita quasi completamente all'olio di palma, sempre più richiesto un po' in tutto il mondo. Ricordo che Domenico, un cuoco friulano conosciuto tempo fa in Vietnam, mi spiegava che anche nei ristoranti italiani è ormai un prodotto molto utilizzato.
La sera passeggio tra gli edifici rossi dell'epoca coloniale. Speravo invano che a quell'ora tarda la chiesa, il palazzo del governatore, la porta di Santiago si scrollassero di dosso quell'atmosfera da museo che li avvolge durante il giorno. Di notte, con le porte chiuse, senza i bigliettai, senza i turisti alcuni posti offrono un viaggio indietro nel tempo. È il caso di Hoi An, in Vietnam, che di notte ridiventa Faifo, antico centro nevralgico dei commerci tra portogesi, cinesi, olandesi e giapponesi. Con le case dei mercanti che non sembrano i negozi di souvenirs in cui sono state convertite. E il bel ponte in legno costruito dai giapponesi che non fa da sfondo alle foto delle coppiette di turisti.
Faifo e Malacca al culmine del loro splendore erano contemporanee, anche per questo nutrivo la speranza di rivivere le emozioni di quelle passeggiate notturne. Purtroppo non accade: da un vicino bar arrivano le note stonate di un musicista da quattro soldi. Poi, improvvisamente, la piazza centrale viene invasa da un nugolo di rickshaw rumorosi e inghirlandati di fiori variopinti che portano a spasso un gruppo di cinesi dall'aria stordita.

Mi arrendo e mi incammino verso l'albergo. A metà strada mi si avvicina un'auto guidata da un cinese del posto che vuol fare conversazione. Fa molta propaganda gratuita e banale al suo paese ma mi lascia con un pensiero su cui riflettere. Gli abitanti di Singapore, a differenza dei malesiani, non possono investire i loro risparmi in terreni o case. Perciò spendono, spendono, spendono e basta...
L'albergo in cui alloggio è gestito da una famiglia di eurasiatici. «Il mio nome è Franco, sono un "portoghese locale". Parlo portoghese». L'ultima precisazione anticipa la domanda che probabilmente tutti gli rivolgerebbero. Potrebbe sembrare un malay ma alcuni tratti del volto sono effettivamente europei. Ancor più quelli di un suo amico con cui parla portoghese. «È una versione antica della lingua. Quella moderna la capisco a malapena». Mi racconta che "portoghesi" a Malacca e dintorni sono circa 2000.

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