venerdì 26 gennaio 2007

Kunming - Cina, 26 gennaio 2007

Oggi si sposa l’amica di A.
E’ tornata a casa da qualche giorno. Per trascorre le vacanze invernali (si avvicina il capodanno cinese), e per la cerimonia nuziale appunto.
La sua famiglia vive in una provincia a nord, ad un paio d’ore di volo da qui.
L’ultima settimana a Kunming l’ha trascorsa quasi interamente con A.
A è riuscito in qualche modo a scucire l’indirizzo email della ragazza ad un sito per scambi culturali, per l’iscrizione al quale bisognerebbe pagare.
A non si è iscritto, è un tipo tenace. Il sito pubblica gratis la foto e la descrizione autografa delle persone iscritte che vivono nella città selezionata.
Ma il numero di telefono è oscurato, così come parte dell’indirizzo email.
A è riuscito ad contattarla con le poche informazioni a disposizione.
Si sono incontrati una sera, e hanno bevuto qualcosa in un paio di locali.
La sera successiva la ragazza l’ha invitato a cenare in un ristorante nel quartiere in cui vive.
Poi si sono spostati a casa sua. Sono rimasti assieme fino alle 7 di mattina. L’ho sentito che rientrava a casa mezz’ora più tardi.
Hanno chiacchierato, tra di loro non è successo nient’altro. A non è un tipo che ci prova se non riceve il giusto input.
La sera successiva la ragazza è venuta a casa nostra.
Li ho incontrati che chiacchieravano in salotto quando sono rientrato dopo cena.
Era la sera del black-out. Tutto il quartiere senza luce per mezz’ora. Il nostro complesso, chissà perché, per un paio d’ore.
L’ho conosciuta al buio. Prima la sua voce, il suo accento, i suoi discorsi. Poi, dopo un’ora, quando gli elettricisti hanno risolto il problema, anche il suo volto.
Una ragazza abbastanza carina, molto sveglia e simpatica. Ad A piace molto, si capisce dal tempo che le dedica e da come la tratta.
Siamo rimasti a chiacchierare e a guardare la TV fino alle 6.30. Se fosse stato qualcun altro avrei temuto di disturbare, ma con A non è così.
La ragazza sta seguendo un corso post-graduate presso il dipartimento di scienze ambientali di una università di Kunming.
Un corso organizzato in collaborazione con un’università francese.
Alcuni studenti francesi studiano qui quest’anno. Lei ed altri studenti cinesi andranno in Francia l’anno prossimo.
Parla un buon inglese, e sta studiando francese.
Alle 6.30 io ho tolto il disturbo e sono andato a dormire.
Loro sono rimasti a chiacchierare sul divano fino alle 9.30.
Io ed A, da quando sono finite le lezioni a scuola, facciamo sempre mattina. Si chiacchiera, si guarda un film. Possibilmente non le serie americane che piacciono a lui.
O cerchiamo di migliorare il nostro cinese con le serie poliziesche locali, che i canali cinesi trasmettono con i sottititoli in mandarino.
Quando capirò cosa dicono non avrò più il coraggio di guardarle. Ovviamente sono peggiori di quelle americane.
Credo che prima che la ragazza andasse a casa, siano anche riusciti a baciarsi. Niente di più.
La notte successiva l’abbiamo trascorsa più o meno allo stesso modo. Ma con un finale leggermente diverso.
Sono finiti a letto assieme. Ma senza avere un rapporto sessuale vero e proprio.
Sono andati per gradi.
Per l’ultimo atto hanno aspettato un altro giorno.
E gli ultimi due o tre giorni che lei ha trascorso a Kunming prima di tornare a casa li hanno passati sempre assieme.
Ogni tanto però faceva scivolare qualche commento sospetto. Qualche nota stonata. Quasi volesse far capire ad A che c’era qualcosa che ancora non gli aveva detto. Qualcosa di importate. Che avrebbe potuto stravolgere il loro rapporto.
Alludeva ma non spiegava. Non ancora.
Il giorno dopo ha portato A a mangiare la “pizza più buona di Kunming”.
A si è scervellato per ore cercando di indovinare di quale pizzeria si trattasse. Le conosciamo un po’ tutte.
L’ha portato da Pizza Hut...
E lì A, senza fare commenti sulla pizza, l’ha messa alle strette.
E lei ha vuotato il sacco.
E’ stata fidanzata a lungo con un ragazzo della sua città.
All’inizio era innnamorata. Poi ha capito che non era la persona giusta.
Lei ha intenzione di studiare all’estero, di lavorare in una grande città. Lui non vuole lasciare il posto in cui vive. Non vanno d’accordo. E poi, per altri motivi, lei non lo ama più.
Tuttavia, oggi si sposano.
I genitori di lei amano il ragazzo. Il padre ha una grave malattia.
Lei teme che il dispiacere che gli causerebbe la cancellazione del matrimonio aggraverebbe la sua situazione.
Non ha detto niente a nessuno, si è tenuta dentro tutto ed è pronta a sacrificarsi.
L’incontro con A ha appesantito la tensione.
Da quando è tornata a casa si sentono spesso al telefono.
Lei dice che dopo il matrimonio tornerà a Kunming e vorrà continuare a vederlo.
Dice di volersi sposare soltanto per tranquillizzare il genitori.
Ha elaborato un piano che le permetterebbe di partecipare alla cerimonia senza però completare i documenti che ufficializzano il matrimonio. Vuole mettere in piedi una farsa.
Tranquillizare tutti campando scuse che tirano in ballo i requisiti per il visto francese che lei deve ottenere l’anno prossimo.
A ha cercato di spiegarle il suo punto di vista.
L’errore che a suo modo di vedere lei sta commettendo nei confronti di se stessa e nei confronti del fidanzato. Che a quanto pare non sa che lei lo sta sposando senza averne intenzione.
Dopo le conversazioni con A, quando mancavano due giorni al matrimonio, lei ha deciso di aprire il suo cuore con i genitori e il fidanzato.
La sera stessa ha telefonato ad A.
Diceva di aver confidato a tutti il pensiero che la tortura.
Il risultato non cambia. Si sposeranno comunque.
Oggi.
A fa fatica ad accettare il fatto che i genitori vogliano che lei si sposi contro la sua volontà.
Credendo di fare del bene per il suo futuro quando invece il suo futuro è già garantito dal corso di studi che sta seguendo, dalla sua conoscenza delle lingue, dalla sua intelligenza e dalla sua ambizione.
Un castello di carte che potrebbe invece crollare sotto il soffio del cambiamento portato dal matrimonio-farsa.
A fa fatica ad accettare il comportamento dei genitori.
Ma non crede a quel che sente quando lei gli dice che anche il suo ragazzo non ha cambiato idea dopo aver saputo che lei, in fondo al cuore, non vorrebbe sposarlo.
Non capisce che cosa questa persona creda di ottenere.
Io ho detto ad A che non sappiamo di preciso che cosa veramente lei abbia detto loro.
Forse non è stata così chiara riguardo i suoi sentimenti.
E perciò nessuno sospetta che in fondo lei non ami il ragazzo.
Forse credono solo che lei sia confusa e spaventata. Un normale stato d’animo pre-matrimoniale.
Povero A, sembra che attiri donne cinesi con problemi di questo tipo.
Aveva già incontrato J. L’organizzatrice dei corsi di inglese per bambini che A insegna la domenica mattina.
Dopo averlo assunto, J ha cominciato ad invitarlo una sera ogni tanto, per bere qualcosa o per cenare.
E a poco a poco ha cominciato ad innamorarsi di lui.
Glielo ha detto chiaramente.
Ma gli ha anche confidato di non volersi impegnare con uno straniero che sa già che fra qualche mese partirà.
J ha una maniera strana di comportarsi. Decisamente poco cinese, tra l’altro.
Parla sempre di se stessa. Di quanto crede di essere bella. Di quanto crede di essere intelligente e brava nel proprio lavoro.
Tende ad utilizzare questo atteggiamento per far sentire l’interlocutore in inferiorità.
Lo utilizza anche con A. Vuole che lui capisca quanto è fortunato ad avere una ragazza come lei al suo fianco.
Per enfatizzare l’effetto di questa tecnica, utilizza nei suo confronti anche dei complimenti al contrario, che alle orecchie di A suonano quasi come degli insulti.
Gli dice che a lei lui piace, ma che non sa spiegarsi il perché.
Non è bello come gli occidentali che piacciono alla maggior parte delle donne cinesi. Cammina in modo buffo, parla in modo strano.
Ma a lei piace comunque. E al contempo continua ad incensare le proprie virtù.
E si confronta con le ragazze cinesi che gli altri stranieri misteriosamente scelgono come fidanzate.
Misteriosamente, visto che a suo modo di vedere sono tutte più brutte di lei.
J si è sempre comportata in modo un po’ ambiguo.
Se ne va sempre presto, mai dopo le undici e mezzo.
Si fa accompagnare a casa, ma non vuole che nessuno si avvicini troppo al suo palazzo.
Convive con un cinese che alcuni fa è stato il suo compagno. Ma con cui non ha più alcuna relazione (tranne quella di essere coinquilini) da lungo tempo.
A si è chiesto a lungo perché continuino a vivere questa imbarazzante convivenza.
J è la proprietaria dell’appartamento e non è apparentemente obbligata ad averlo come coinquilino.
Qualche settimana fa J ha confidato ad A il suo segreto.
Con quell’uomo, due anni fa, ha avuto un figlio.
Fin dai primi tempi della gravidanza, aveva capito che la storia tra loro due non avrebbe potuto funzionare, ma ha deciso comunque di avere il bambino.
E per il bene del bambino hanno deciso di continuare a vivere assieme.
Anche se spesso il bambino lo affidano alle cure dei genitori di lei, o di lui. Facendo così in un certo senso venir meno la ragione per cui convivono a forza.
Lei dice di volerla fare finita.
Ma la storia va avanti in questo modo da prima che nascesse il bambino. Quindi da più di due anni.
Negli ultimi tempi A e J si sono visti più frequentemente.
Non hanno avuto rapporti sessuali ma hanno dormito assieme.
Lei è decisamente innamorata.
Per convincere A a trattenersi a Kunming ha cominciato a pensare al modo di fargli trovare un modo per mantenersi ed ottenere un visto a lungo termine.
E quindi si è anche convinta a mettere fine alla convivenza forzata con l’ex fidanzato.
A cui ha detto chiaramente di trovarsi un’altra casa in fretta.
Ha paura però di perdere l’affidamento del bimbo, a cui dice di essere molto legata anche se continua a non prendersene cura. Mandandolo continuamente a casa dei suoi genitori, o di quelli di lui.
A, l'amico taciturno. Che sogna una vita regolare, che fa della razionalità un valore supremo.
A, l'uomo dalle donne con le vite complicate.

venerdì 12 gennaio 2007

Kunming - Cina, 12 gennaio 2007

Sono al caffè dell’istituto di lingua cinese per stranieri dell’Università Normale dello Yunnan.
Ci vengo spesso, è un posto accogliente, con musica tranquilla a basso volume che non ti disturba quando leggi o studi.
C’è anche un’area appartata arredata in stile tradizionale cinese in cui si entra a piedi scalzi e in cui ci si può anche godere una cerimonia del tè con tanto di pianale in legno intarsiato, vasellame in porcellana e tutti gli strumenti necessari alle operazioni di rito.
Io mi accomodo nella sala moderna. E’ pomeriggio inoltrato, quasi sera, e soltanto pochi tavoli sono occupati.
I soliti gruppi di studenti thailandesi e vietnamiti. Io sto da solo ad un tavolo.
E a fianco a me, vicino alla finestra, quello studente israeliano con la fidanzata cinese, quella che insegna proprio in questa università.

Più tardi la incontro all’esterno dell’edificio.
Cominciamo a chiacchierare. Si ricorda che sono italiano e mi racconta un paio di aneddoti, uno dei quali è abbastanza interessante.
Dopo la solita storia a proposito degli spaghetti, importati dalla Cina da Marco Polo, mi da anche una versione originale della nascita della formula “Cin Cin”, che utilizziamo nel sud Europa per brindare.
Anche questa, secondo questa teoria, sarebbe di origine cinese.
I cinesi per invitare qualcuno a bere, dicono “Qing Qing”, che significa “prego, prego” e che, trascritto in italiano, suona pressapoco come “Cin Cin”.
Non so se questa storia sia vera, è la prima volta che la sento. Ma è realistica.
Certo più dell’aneddoto seguente. A proposito del termine “Casinò”.
Gli abitanti della provincia cinese dello Sichuan amano il gioco d’azzardo. Lo praticano anche all’estero, in tutte le mete della loro diaspora. E ogni volta che cominciano, per fare un esempio, una mano di poker, gridano “Kai shi, kai shi” che significa appunto “Cominciamo”. Da qui il nome “Casino”.
Bah...non mi convince per niente.



martedì 9 gennaio 2007

Kunming - Cina, 09 gennaio 2007

Pranzo al ristorante con la cassiera antipatica.
Ieri non mi ha fatto mangiare perché non voleva cambiarmi una banconota da 50 kuai. Io non avevo altro. Un ristorante frequentato da centinaia di clienti al giorno, che non ha il resto per 50 kuai. Megera dormigliona.
L’ho pure vista addormentata sulla cassa, mentre alcuni clienti in fila protestavano la loro fame. Ha aperto gli occhi, li ha osservati, e si è rimessa a dormire. Poi, quando un camionista ha minacciato di frantumare la cabina di plexiglas, si è rimessa a lavorare.
Mangio 'er si', degli spaghettoni saltati in una salsa densa. Un po’ piccanti ma molto appetitosi.
Sono soltanto un po’ piccanti perché io chiedo di non metterci il peperoncino, altrimenti sarebbero immangiabili.
Arrivato in Asia da poco, mangiavo cibo più piccante senza alcun problema. Ma da due o tre anni la mia tolleranza al peperoncino si è abbassata di molto.

Vedo un mendicante entrare nel ristorante.
Si dirige in fretta verso un tavolo da cui un cliente si è appena alzato.
I camerieri non hanno ancora sparecchiato.
Lui afferra le bacchette e finisce i tagliolini rimasti all’interno del piatto, poi si beve anche un sorso di brodino.
Se lo versa in bocca direttamente dalla scodella.
Lo guardo mentre regge la scodella con le mani. Mi ricorda di quando all’asilo le suore ci facevano finire la minestra allo stesso modo.
Si pulisce la bocca con la manica della giacca, si guarda attorno ed esce.
Poi rientra, si avvia verso un altro tavolo e ripulisce un altro piatto. Un esperto suo malgrado nell’arte della scarpetta.
Quindi sposta una sedia, si infila sotto il tavolo e si rialza sorridente con una sigaretta in mano.
Ride, e la sua barbetta a punta oscilla come il becco di un picchio. Mi sembra di riconoscere il suo volto.
Poi esce di nuovo, forse sazio, e si siede per fumarsi il trofeo su una sedia sistemata all’entrata del ristorante.

Passa sul marciapiedi una ragazza americana che ho già visto.
Lui le sorride e la saluta con la mano.
Mezzo minuto più tardi passeggia di lì un altro ragazzo occidentale, e il barbetta lo saluta allo stesso modo.
Ora mi ricordo di lui. E’ un barbone ritardato, che saluta tutti gli stranieri picchiettando la barba appuntita ed esibendo uno stupendo sorriso senza nemmeno un dente, con le labbra ad “O” e due delta di rughette che gli increspano la pelle color caffè vicino agli occhi. Irresistibile.
Si agita sulla sedia e sventola la mano. Ma il ragazzo straniero che gli cammina davanti fa finta di non notarlo, e passa oltre.
Poi con la coda dell’occhio nota il tintinnio della barbetta e il viso accartocciato in quel sorriso fantastico.
Lo straniero non ce la fa più ad ignorarlo, si gira e continuando a camminare all’indietro toglie le mani dalle tasche della giacca, lo saluta e gli sorride.
Prima di voltarsi gli rivolge un’ultima occhiata.
Ma il barbone ritardato si è già dimenticato di lui, e ricomincia a fissare la strada davanti a sè, con quel suo sguardo un po’ assente.

La condizione dei barboni, soprattutto qui in Cina, dovrebbe metterci tristezza.
Interrompere almeno per un attimo la nostra spensieratezza, farci dimenticare per un attimo le piccolezze che ci fanno arrabbiare, le inezie per cui ci preoccupiamo e la banalità di alcuni dei nostri progetti. Farci riflettere su come la nostra vita, in fondo, non sia poi malaccio.
Al contrario, sono proprio loro che a volte ci sorprendono in un momento di sconforto, e ci regalano una risata scacciacrisi.

Ce n’è uno, per esempio, che ha scelto le scale all’entrata di un negozio per prepararsi ogni notte un giaciglio di stracci e cartone.
Proprio lì a fianco c’è un caffè francese molto frequentato da stranieri e cinesi benestanti.
Una sera passavo di là verso mezzanotte, l’orario di chiusura del caffè. Attraversavo uno dei miei rari momenti di tristezza, dovuto a chissà cosa.
Quattro ragazzi un po’ ubriachi si erano fermati sul marciapiedi e discutevano a voce alta.
Ad un certo punto si sente il rumore di qualcosa che striscia, uno dei cartoni viene scostato e dal buio di quell’angolo puzzolente sbuca un braccio teso.
Poi, tra una sciarpa ed un berretto, spunta anche mezzo volto del barbone, che comincia a urlare qualcosa ai ragazzi, ammoniti anche da quel dito puntato contro di loro.
I ragazzi sono ammutoliti, io rido senza farmi sentire.
Non so cos’abbia gridato, ma mi piace pensare che siano le stesse parole che avrebbe potuto dire l’inquilino del primo piano: “E allora! La vogliamo piantare con questo baccano? C’è gente che domattina presto deve svegliarsi e che ora vuole dormire! E’ un quartiere serio questo, mica un ritrovo per ubriaconi come voi!”.
I ragazzi, forse un po’ umiliati, si ritirano nella loro berlina giapponese, e se ne vanno.
Il barbone scompare di nuovo nel buio del suo angolo, risistema il cartone e si rimette a dormire.
Ha veramente cose serie da fare lui di mattina. Fra qualche ora gli spazzini, gli ambulanti e le commesse del negozio lo sveglieranno, e lui sarà costretto a fare i bagagli, magari quando è ancora buio.

Quell’uomo, a sua insaputa, mi restituì il buonumore. Quella sera uscii con degli amici e per altri motivi mi divertii. Ma lo devo a lui se la serata cominciò all’insegna dell’allegria.

lunedì 1 gennaio 2007

Intervista a William Wall - di William Stabile

William Stabile intervista William Wall, lo scrittore irlandese che al muro ha un termometro che misura il dolore in gradi C°

William Wall e’ un poeta e scrittore irlandese.
Le sue poesie sono cosi’ originali e di una intensita’ unica che circa un anno fa ho iniziato a tradurle in italiano.
Rendendomi conto che il risultato era piu’ che buono e coinvolgente per un lettore “attento” ho proseguito lentamente in questo mio lavoro, traducendone altre.
Poi mi e’ venuta l’idea di fargli un’intervista. La prima mai rilasciata in lingua italiana.
Credo che fosse necessaria per me. Volevo capire meglio chi c’era dietro le poesie che traducevo.
Eccola qui! Fresca e naturale per il lettore italiano “resistente” al dolore.
Ho deciso di preservare l’originalita’ delle risposte in molti passi – sebbene non siano in un italiano perfetto- cosi’come sono state rilasciate.
In altri punti ho corretto o modificato in modo che il lettore potesse intendere il testo senza troppo sforzo di comprensione.