mercoledì 23 febbraio 2011

Un pezzo d'anima - Singapore

Vecchia Singapore
Cosa si prova osservando le foto di un posto che conosciamo, quando le immagini risalgono a prima che noi nascessimo? Io ricordo cosa ho provato la prima volta che ho visto delle vecchie foto di Singapore. Le osservavo, cambiavo angolatura, leggevo la didascalia: un commento, una data e il nome di un posto che conoscevo ma non riconoscevo. Incuriosito tornavo in quei luoghi, convinto di essermi perso qualcosa, per distrazione o per scelta infelice del punto di vista. Vie, quartieri, piazze, ponti, moli: i nomi restavano gli stessi, il resto era irriconoscibile. Potevo posizionarmi dietro una colonna, fissare il panorama per minuti cercando di scorgere qualche dettaglio seminascosto, ma non c'era verso di resuscitare lo scorcio della foto, a volte nemmeno in parte.
È vero, succederebbe la stessa cosa un po' ovunque guardando delle immagini di sessant'anni prima, ma a Singapore il concetto di restyling è stato spinto a livelli forse mai raggiunti altrove. Demolizioni, ristrutturazioni, restauri, pianificazioni, sperimentazioni, regolamentazioni, standardizzazione, il tutto con un solo obiettivo in mente: la realizzazione di una visione. Quella di una città iper-moderna, tecnologica, funzionale, organizzata, controllata, pulita, sicura, ordinata. E dal momento che nessuna di queste qualità ha a che fare col passato (o meglio, sono tutte figlie sue, ma non ne hanno più bisogno...progenie irriconoscente), l'eredità di quel passato è stata ignorata. Quindi ciò che non costituiva un ostacolo è stato plasmato e rimodellato per centrare i nuovi requisiti, mentre ciò che risultava di impaccio è stato eliminato con zelo. E così facendo la città-stato ha inevitabilmente perduto carattere, si è disfatta di un pezzo d'anima, pensando forse di poter vivere di solo corpo. Il velo asettico e la sofisticazione non li osservi soltanto negli edifici, nei ristoranti, per le strade: li inali con l'aria che respiri, ti sfiorano la faccia come una brezza ogni volta che giri un angolo o varchi una soglia. Singapore poteva essere una versione ricca e avanzata di Rangoon, Malacca, Goa, Luang Prabang, Phuket town, Penang, Hoian. Ha deciso invece di essere la copia di qualche città immaginata da uno scrittore di fantascienza. Copia imperfetta, perché reale. E lo ha fatto senza tanti scrupoli.
Forse però qualche rimorso le zelanti autorità ce l'hanno, se amano recuperare queste foto ed esporne delle gigantografie in pubblico o se organizzano delle nostalgiche mostre di vecchie cartoline.
E allora a quei visitatori stranieri che arrivano a Singapore e sono ammaliati dall'organizzazione, dalla pulizia, dall'ordine e soprattutto dall'offerta di prodotti all'avanguardia, consiglio di cercare queste immagini, di osservarle bene, poi di voltarsi e guardarsi attorno, e chiedersi se valeva la pena passare un canovaccio sulla storia per offrire ai turisti questo plastico in dimensioni reali e tante vetrine piene di gingilli elettronici che nelle loro città arriveranno soltanto un paio di mesi più tardi.
Per quanto mi riguarda questo è uno di quei momenti in cui vorrei che uno dei miei sogni preferiti si avverasse: impossessarmi di una macchina del tempo e viaggiare all'indietro...di anni...indietro...indietro...di decenni, fino all'epoca in cui il fotografo realizzò quegli scatti. Anche un mondo in bianco e nero, vagamente lattiginoso, mi andrebbe bene.

lunedì 21 febbraio 2011

Luci spente

Ridacci indietro...i tuoi vent'anni...
tieniti pure le due baldracche che tu saiii...
Vecchioni scusa...stavo scherzando...
canzoni belle...non ne scriverai...mai piùùùùùùù...
la laa la laaaaaa...la laa la laaaaaaa...

giovedì 17 febbraio 2011

Ironia catalana

Conversazione tenutasi in Thailandia tra un amico di Barcellona (F.) e un backpacker americano (B.A.). La lascio in inglese e spagnolo: se la traduco la stupro.

B.A.: Where are you from?

F.: I'm from Spain, Barcelona, and you?

B.A.: I'm from the West Coast...

F. : ahhh...the West Coast! (poi, tra sé e sé): West Coast...que coño es West Coast?...Portugal?!

martedì 15 febbraio 2011

Peggio di un vedovo

Foto di jcoterhals (CC)
Eccone qui un altro che mi chiede se sono sposato. Beh, come spesso accade in Asia, fa la domanda ma in realtà ha in mente un'affermazione: ovvio che lo sei, parlami quindi un po' della tua famiglia...Ed ecco che fa quella faccia quando sente la mia risposta. Continuo a incontrare persone così, che si sorprendono quando scoprono che non ho una moglie. Anzi, peggio ancora, che si sorprendono quando scoprono che non ho mai avuto una moglie...come se essere divorziato o vedovo, per quanto triste, sia comunque molto meglio della dannazione suprema: essere scapolo.
A dire la verità in effetti l'istituzione stessa del matrimonio non mi convince del tutto. Non in quanto tale, ovviamente, dal momento che si è rivelata uno strumento fondamentale per la costruzione di società solide e buoni ambienti per la crescita dei bambini. È il meccanismo così com'è presentato oggigiorno che trovo difettoso, specialmente nel mondo occidentale, anche se le differenze tra est e ovest si vanno assottigliando di anno in anno.
Molti sembrano essere ansiosi di sposarsi perché è stato loro detto che devono farlo, e in realtà è sempre stato così. In passato però, oltre a dire ai giovani che si dovevano sposare, si spiegava loro anche che il matrimonio sarebbe durato per sempre. A prescindere dalla gravità dei problemi che avrebbero dovuto affrontare, da quanto simile a un inferno la vita all'interno della nuova famiglia sarebbe potuta diventare, i coniugi avrebbero dovuto trovare il modo per continuare a viverla. O per sopportarla, fino a che morte non li avrebbe separati.
Al giorno d'oggi i giovani sposi hanno la possibilità di venirne fuori, e per giunta sono indotti a pensare che in fondo non sia nemmeno un dramma così serio, o che sia colpa loro...sono cose che capitano - sembra essere il messaggio - non ci pensate troppo, voltate pagina e andate avanti.
Anche se ho trascorso lunghi periodi della mia vita da single e non sono mai stato vicino alla programmazione delle mie nozze, ho visto tanti amici e conoscenti celebrare il proprio matrimonio e pochi anni dopo piangerne il fallimento. Ecco perché sono convinto che se il paradigma è veramente cambiato e la probabilità che un matrimonio duri per sempre non è abbastanza elevata, sarebbe meglio insegnare ai giovani che non c'è bisogno di essere troppo ansiosi a riguardo.
Convincerli a sposarsi soltanto per vendere più polizze assicurative e lavatrici, sapendo che molti di loro si separeranno - o addirittura contando di vendere ancora più prodotti in caso di seconde e terze nozze - potrebbe sembrare una buona idea per dare un impulso all'economia dei consumi: in realtà non è altro che un crimine morale. O prometti loro un futuro o non prometti nulla, altrimenti non li hai guidati: li hai soltanto ingannati.

mercoledì 9 febbraio 2011

Infuriato - Bangkok, Thailandia

Foto di humblenick (CC)
"Sawat-dee-krap, pai Khao-San dai mai krap?"
Il tassista annuisce e io mi siedo nel retro con una lattina ghiacciata di Leo in mano. Dal Major Cineplex al Central Mall è la solita, tranquilla corsa notturna di Bangkok, poi un'auto sbuca all'improvviso da Lat Phrao rd e ci taglia la strada. L'autista emette un suono gutturale e sbatte giù il pedale del freno. Sono sorprendentemente calmo - non so se a causa dell'effetto sedativo delle birre del sabato, per il fatalismo innato, o un po' per entrambi - mentre l'auto rallenta rapidamente, slittando appena, fino a che il nostro paraurti anteriore finisce per baciare con dolcezza quello posteriore dell'auto pirata.
Ne siamo usciti abbastanza bene - beh, io almeno - ma lo so che non è finita qui: già mi immagino lo scenario peggiore e spero che l'altro veicolo si fermi al più presto. Invano: quello se ne va a tutta birra, come se non si fosse nemmeno accorto di quel che è successo. E il mio autista, senza nemmeno una cerimonia di apertura, ha già dichiarato l'inizio del tempo dell'inseguimento.
L'alta velocità mi rende nervoso, specialmente se non conosco chi guida e questi è infuriato. Non lo dà molto a vedere ma io so che lo è. A differenza di una sua ipotetica controparte italiana - che darebbe sfogo alla sua frustrazione con una litania di carattere mistico-eretico - lui emette soltanto dei suoni monosillabici, guidando nervosamente, accelerando e sterzando a intermittenza.
A un certo punto segue il veicolo fuggitivo infilandosi in una strada che non ci condurrà sicuramente dove gli ho chiesto di portarmi, ed è in quel momento che esco dal mio stato di trance e comincio a urlare: "Fermati, fermati immediatamente!" Lo dico in thailandese, in inglese, in italiano, in cinese e in spagnolo. Alla fine lui ferma l'auto vicino al bordo della strada ma ho il sospetto che non l'abbia fatto perché i suoi antenati arrivarono nel Regno del Siam da Toledo o Madrid.
Scendo in fretta. Lui fa altrettanto, senza minimamente curarsi di me, e va direttamente a controllare i danni. Mi ha fatto passare cinque brutti minuti, me ne frego completamente di lui e quando metto gli occhi sul primo taxi libero lo fermo.
Ora che sono in salvo ripenso con più distacco a quel che è appena successo. I tassisti di Bangkok spesso non sono i proprietari delle auto che guidano: le prendono in affitto da una ditta e in casi come questo si vedono probabilmente detrarre la somma dei danni dall'incasso.
Bevo un sorso della birra che ormai è diventata calda e in silenzio gli auguro in bocca al lupo: speriamo che l'auto ne sia uscita indenne, così come abbiamo fatto noi.

mercoledì 2 febbraio 2011

Tonalità d'angelo - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di Neil Krug (CC)
Chiudo il libro, sto per spegnere la luce, ma mi accorgo che non ho abbastanza sonno. I suoni della strada penetrano attutiti attraverso le fessure degli infissi, c'è gente che si diverte in giro: domani è festa a Kuala Lumpur, io però insegno lo stesso. 
Infilo le ciabatte ed esco dalla stanza. L'arredamento fa abbastanza schifo ma l'appartamento è grande e una volta tanto non lo devo condividere. Afferro una sedia in sala e la porto in terrazza. Ci sono almeno 25 gradi e indosso solo un paio di boxer ma le luci sono spente e sto all'ottavo piano, non mi possono vedere e se mi vedono sono soltanto un'ombra: un ombra vestita e una nuda sono uguali. 
Basta un'occhiata e mi accorgo - per l'ennesima prima volta - che una terrazza con vista in effetti è una figata. Qui sotto c'è un incrocio, un nodo raffazzonato di piccole strade non regolato da un semaforo: subisce il peso del traffico solo quando c'è vita notturna, proprio come stanotte. Auto, moto e taxi procedono alla velocità dei pedoni, alla ricerca di un parcheggio o della via verso casa. 
Non fumo quasi mai ma ora mi accendo una sigaretta. Le sigarette se non hai il vizio sono fatte per questo. Fumo, osservo e scrivo frasi nella mente, in italiano, in inglese, in spagnolo, con caratteri cuneiformi e ideogrammi, senza poterle salvare, come in modalità offline. Magari se osservo bene localizzo pure quelle ragazze russe. 
Alcune ore fa, mentre scroccavo il segnale wi-fi nella lobbie, sono uscite dall'ascensore ridendo e canticchiando, accompagnate dai loro amici modelli, delle specie di sculture in bronzo semoventi. Mi sono passate davanti e borbottavano, probabilmente erano brille, magari mi prendevano per i fondelli: me ne sto sempre in disparte, a scrivere al PC o in giro per il quartiere, non do confidenza come gli altri uomini del palazzo. Che sfigato, penseranno, magari pure stronzo: beh, sfigato va bene, magari sarò anche un po' stronzo, ma soprattutto...io sono timido! Poi quella che siede spesso vicino a me col portatile - vestita sempre con maglietta e pantaloncini corti, acqua e sapone e coda di cavallo - si è girata e quasi non la riconoscevo: abbigliamento nero e attillato, capelli sciolti che finalmente scendevano lunghi e mossi, truccata sobriamente, come si truccherebbe un angelo. Saltellando come se ballasse, anzi no, come una bambina con le amichette in giardino, mi ha sorriso e ha agitato la mano. All'improvviso sulla superficie di contatto tra corpo e sedia ho provato una sensazione di liquefazione, non come se stessi sudando o sanguinando, proprio come se la mia pelle e i muscoli si stessero sciogliendo, poi è stato un susseguirsi di cambiamenti, di temperatura, di intensità luminosa, di tonalità di colore, di percezione dello spazio, quasi come se una nuova dimensione si fosse introdotta in questo mio piccolo mondo, e alla fine ho capito: ero totalmente rincoglionito. Non ho fatto in tempo a dire nulla e temevo di esserle apparso sgarbato ma quando ho ripreso possesso delle varie parti del mio volto vi ho trovato stampato sopra un sorriso che quasi mi decapitava: se lei non l'ha notato non era soltanto ubriaca ma completamente persa in un viaggio iperspaziale. Lo sapevo bene che non era il caso di farsi illusioni per il futuro, ma il presente l'ho succhiato fin quasi a sentire il rumore di una cannuccia che aspira le ultime gocce di un frappè.
L'ingorgo si snoda, il gruppo di ragazzi alticci si scioglie, gli angeli russi non li ho visti ma ne passano degli altri: cinesi fluorescenti, indiane mimetizzate con la notte, alternate a malesi di varie qualità di cioccolato. Tirate a lucido e pettinate, alcune barcollano un po', stringono le borsette per non perderle o ci si aggrappano per non cadere: da quassù, in penombra, sembrano tutte belle. 
Scatta l'allarme di un'auto, una di quelle sirene che ogni tanto mi sabotano la siesta, questa volta però non sono a letto ma in terrazza, e per giunta in panciolle: me lo godo come se fosse una colonna sonora un po' sfasata. Poi mi scappa uno sbadiglio ed è il segnale che aspettavo, raccolgo il mozzicone e metto a posto la sedia. Sciabatto a tentoni il percorso a ritroso verso la stanza. 
Ora posso andare a dormire: una terrazza al buio e lo strascico di un sorriso hanno rimboccato la serata.