martedì 7 settembre 2010

Bagarini d'alta quota - Medan, Indonesia

Crossing the morning sky, di Docbudie (CC)
Sumatra l'abbiamo visitata, segniamo il tick sulla lista e passiamo alla prossima tappa: Giava. Torniamo a Medan alla ricerca di un volo. Alla prima agenzia un impiegato annoiato ci fa sapere che i voli per Giacarta - e per qualsiasi altra destinazione - sono tutti pieni, per vari giorni.
"Ma...proprio tutti?"
"Tutti!"
Questo non ha voglia di lavorare, pensiamo all'unisono mentre cerchiamo un'altra agenzia. Forse i lavoratori del settore turistico a Medan sono davvero pigri e annoiati, ma ciò non ha nulla a che fare con la disponibilità dei voli. È periodo di festa e gli indonesiani, soprattutto gli studenti, viaggiano, migrano, volano. Per tornare a casa, per andare in ferie, per visitare qualche amico, non si sa dove vadano, ma di sicuro hanno intasato il traffico aereo del paese.
Noi però apparteniamo a un'antica stirpe di tosti viaggiatori e non ci daremo per vinti così facilmente. Ci imbarchiamo in un taxi sgangherato e raggiungiamo l'aeroporto. L'area delle partenze nazionali è una bolgia di gente che si accampa ovunque, in attesa che si liberi un posto in qualche lista d'attesa. Facciamo un tentativo agli sportelli di qualche compagnia ma le loro risposte non ci sorprendono più: è tutto pieno. Una bagarina che ha fiutato la truffa ai danni di tre polli dal viso pallido ci si avvicina e ci offre tre carte di imbarco ad una cifra spropositata.
Una serie random di domande ci affetta i cervelli. Carte di imbarco? A chi appartengono? E i legittimi proprietari dove sono? E i nostri nomi come ce li scriviamo sopra? A matita? L'ansia e il caos ci inducono comunque a prendere in considerazione l'offerta. Fatti due conti però ci rendiamo conto che è davvero un sopruso e rifiutiamo.
Scatta il piano B: decidiamo di lasciare l'Indonesia e di andare in Cambogia, in Birmania, nelle Filippine, dovunque pur di non restare incastrati a Medan. Zaino in spalla, sguardo alto e petto in fuori, marciamo orgogliosamente sul terminal degli internazionali. La donnina delle carte di imbarco ci sta ancora alle calcagna ma il cambio di scenario ci ha irrorato con nuova energia.
Chiediamo a un'impiegata indicazioni per le biglietterie.
"Dove volete andare?"
"Inizialmente a Giacarta, ma vista la situazione ci accontenteremmo di andare ovunque."
"Giacarta? Mio marito lavora ai voli nazionali e per una somma ragionevole vi può trovare tre posti su un volo per la capitale."
"Ma è sicura? I bagarini che abbiamo incontrato chiedono delle cifre astronomiche!"
"Non vi preoccupate, mio marito non è così."
Torniamo ai nazionali, incontriamo l'uomo che, in effetti, non è così e trattiamo il prezzo. Ci indirizza alla biglietteria. Sono venti passi in linea retta e li abbiamo percorsi senza perdite di tempo ma quando arriviamo lui si è già tele-trasportato dietro il vetro. Si prende i nostri nomi e ci inserisce in una lista d'attesa lunga come una pista d'atterraggio. Il bigliettaio non apre bocca.
Ora ci troviamo di fronte a un problema: dovremmo pagarlo, ricevere i biglietti ed entrare nell'area dei check-in, ma senza di lui, che sprovvisto di biglietto non è autorizzato all'ingresso. Fermi tutti! Facciamo il punto della situazione: gli indonesiani sono dei tipi simpatici e questo signore sembra a posto, ma da quando siamo arrivati abbiamo notato che attorno ai turisti tira sempre aria di fregatura. Non ci fidiamo: questi magari ci hanno rifilato dei biglietti della pesca, intascano il malloppo, ci fanno fare una figura grama al check-in e noi ci ritroviamo gabbati e alleggeriti di chili e chili di banconote unte. Mettiamo in atto il piano anti-sola: io e Lorenzo ci avviamo ma lasciamo mio fratello - munito di mazzetta di luride rupie - col bagarino. A seconda del segnale che gli lanceremo dal banco del check-in dovrà sganciare il gruzzolo e seguirci o imboscarlo e scatenare un putiferio.
L'ingresso è plateale: dal nulla più totale compare un poliziotto che ci scorta come dei dignitari in visita ufficiale e in pompa magna ci fa meschinamente saltare la coda. Lo seguiamo ai banchi intontiti dalla sorpresa. Titubanti dentro ma raggianti fuori presentiamo i documenti di viaggio a un ragazzetto che fa una faccia strana. Sul suo volto leggiamo a chiare lettere: "Ma questi che vogliono? È uno scherzo?"
Fa per girarsi e chiedere spiegazioni al supervisore. La sua espressione però diventa ancora più sconcertata e umoristica quando alle sue spalle appare un tizio che lo anticipa, afferra la lista d'imbarco, vi scribacchia sopra qualcosa, cancella probabilmente tre nomi a caso, inserisce i nostri e con piglio autoritario appone una firma in calce. Il profumo dei soldi ha scatenato una reazione a catena che coinvolge nuova gente come se fossero mattoncini del Big Domino Rally. Impiegati e funzionari aeroportuali, agenti di polizia, i loro familiari...non è che sia inconcepibile, ma nella concitazione degli eventi non ce l'aspettavamo.
Finalmente siamo ammessi a bordo e con le carte di imbarco in mano ci sbracciamo all'indirizzo di mio fratello. Lui molla il pacco di luride rupie a colui che ha oliato gli ingranaggi di questa macchina infernale e si infila nell'androne delle partenze.
In un paio d'ore saremo a Giacarta. Temiamo segretamente che per ripicca i Servizi segreti dell'apparato divino ordiscano un incidente aereo ai nostri danni, tramutando il dolore dei nostri cari nella gioia sfrenata di quei poveracci che sono rimasti a terra. Ma alla fine nella realtà non è mai così: chi paga la fa franca e chi è colpito dalla sfiga non viene vendicato. E resta a marcire nel terrario tropicale dell'aeroporto di Medan.
Da un calcolo eseguito a spanne mentre delle hostess dal sorriso permanente si prendono cura di noi sembrerebbe che inconsapevolmente siamo riusciti a corrompere quattro o cinque individui. Senza dimenticare i tre malcapitati che abbiamo lasciato con un palmo di naso. Sgranocchiando un'arachide e sciacquandola con un sorso di succo d'arancio ci illudiamo per un attimo di glissare la nostra vergogna. Non ha funzionato...ma, attenzione, questo succo d'arancio non è per niente male!

Medan, Indonesia, agosto 2003 

P.S. Devo ringraziare Lorenzo M.B. per il ricordo dell'episodio che io - forse colto da sensi di colpa - avevo quasi dimenticato. Essendo lui il protagonista di quest'altro post è tra l'altro sorprendente come sia riuscito a conservarne un ricordo così nitido dopo tutti questi anni.

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