venerdì 26 settembre 2008

La cultura delle mance - Il Cairo, Egitto

In Egitto con una mancia si ottiene quasi tutto, e per qualsiasi cosa un egiziano se ne può aspettare una. Si dà la mancia non soltanto al cameriere che ci serve al ristorante o al portiere che ci porta la valigia nella hall. Nel formicaio del Cairo a caccia di una tip si lanciano anche gli addetti del museo che ci accompagnano ai servizi, i seccatori che posano col turbante per farsi scattare una foto, i ferrovieri che aiutano il viaggiatore a trovare il posto prenotato o gli inservienti che ci porgono la salvietta in bagno. Ovviamente nessuno ha chiesto loro alcunché: più che offrire, impongono un servizio che non si può poi non retribuire. Fortunatamente si accontentano di molto poco, una sterlina egizia basta spesso per comprarsi anche un loro sorriso e tanti complimenti. Alcuni casi però sono alquanto sorprendenti.

A Ghiza, i turisti che fotografano la piramide di Cheope sono tenuti a debita distanza da un cordone che circonda la struttura. A turno una delle guardie approccia e invita il visitatore ad avvicinarsi alla piramide scavalcando il cordone. Il poliziotto ovviamente si aspetta una mancia, ma altrettanto ovviamente quasi tutti rifiutano, perché il cordone sarà pur lì per qualche motivo, e poi non si capisce che differenza potranno fare pochi metri di distanza su una foto dal basso ad un monumento così grande.

In stazione, presso la biglietteria, un agente si avvicina per aiutarci a comprare il biglietto per Alessandria. Un totale di novantasei sterline egiziane. Tiriamo fuori un pezzo da cento, il poliziotto se ne appropria, lo porge all’addetto che gli consegna i biglietti e il resto. L’agente ci allunga i biglietti e le ricevute, ma quelle dannate banconote devono essere incredibilmente appiccicose e non vogliono saperne di staccarsi dai suoi polpastrelli.
“E quelli?” Indichiamo il magro malloppo.
Lui ci sorride e annuisce. Quattro sterline sono un po’ troppe se confrontate con le mance che vengono normalmente pagate per servizi analoghi.
“Che dice, facciamo a metà?”
Il poliziotto non ci pensa nemmeno, ci guarda di nuovo, ci regala un altro sorrisone di denti marci e continua ad annuire, ringraziando. Noi siamo rimasti ipnotizzati ad osservarlo e non ci siamo accorti che le banconote si sono volatilizzate. Gli rivolgiamo un sorriso obliquo, quello che potremmo fare ad un monello che ha fatto il furbo, e rassegnati ci avviamo.
Dopo aver fatto qualche passo qualcuno urla alle nostre spalle. Ci voltiamo, è lo stesso agente.
“Binario numero cinque!” Facciamo finta di credere che l’abbia fatto perché si è reso conto di aver intascato un po’ troppo.
Shokran!” gli rispondiamo. Grazie mille, furbacchione...

La sera facciamo un salto al più famoso bazar del Cairo, Khan El Khalili. Le guide avvertono che si tratta di un posto in cui i turisti vengono trattati come ricconi da spennare, ma a sorpresa, quando arriviamo, tra i vicoletti del mercato regna una calma sospetta: gli egiziani mangiano e bevono e i turisti si aggirano indisturbati tra un negozio e l’altro. C’era il trucco, ovviamente. Una mezz’ora più tardi, i venditori e gli imbonitori che hanno finito l’Iftar, il rito con cui al tramonto rompono il digiuno durante il Ramadan, sono attivissimi e maleducati. Sparano prezzi inaccettabili per paccottiglia dozzinale, cercano di intimidire le loro “prede” - specialmente le donne -, sbarrano loro la strada, le spingono, le afferrano per un braccio e le strattonano. È uno spettacolo davvero fastidioso. Khan El Khalili, com’era prevedibile, non è un gran bel posto, Il Cairo offre attrazioni molto migliori.

A causa dell’Iftar gran parte delle strade, dalle sei della sera in poi, per qualche ora, sono semi deserte. Svanisce come in un sogno il consueto frastuono, è possibile finalmente fare una passeggiata su un marciapiedi che non è intasato come San Siro ad un concerto di Vasco e si può attraversare una strada senza dover procedere con scatti da velocista tra un passaggio e l’altro di macchine lanciate come schegge. Al Cairo tutto ciò è una piacevole sorpresa.

Ma qualche ora più tardi, verso le nove o le dieci, quando si scende dall’hotel per mangiare un tardo boccone, appena fuori dall’uscio si viene calamitati da un vortice di gente e mezzi, rumore, luci, odori e caldo a cui ci si abitua (a stento) soltanto dopo qualche minuto di stupore da bocca aperta e occhi strabuzzati. Fino a notte fonda i negozi sono aperti e la gente si accalca davanti alle vetrine alla ricerca di scarpe, abbigliamento e dolciumi. Molteplici flussi umani si snodano sul marciapiedi scorrendo gli uni sugli altri, incrociandosi, attorcigliandosi, scontrandosi e tagliandosi la strada come bisce d’acqua, che fuggono all’infinito di diametro in diametro all’interno di una bacinella in un mercato vietnamita. Chi ha un po’ di fretta e mosso dall’impazienza ha già picchiato con frequenza la punta delle scarpe sui tacchi del passante che lo precede, decide di tagliare lateralmente e condividere le polverose corsie stradali con gli interminabili cordoni di veicoli ammaccati, leggermente più ordinati di quelli sui marciapiedi ma, manco a dirlo, molto più pericolosi. Agli incroci maggiori i flussi si intersecano e, come in un vecchio videogioco con schermo a maglie, attraversano a scatti con sequenza alternata: uomo-auto-donna-furgone-ragazzini a manina-motocicletta-vecchietto-madre con bimbo in braccio-taxi-autobus, e così via all’infinito. Alle due passate torniamo in albergo e l’attività di questo alveare non si è ancora calmata. Quando mezzora dopo ci stiamo per addormentare, attraverso le fessurine tra le ante delle finestre filtrano ancora, tra i vapori speziati degli spiedi di shawarma, gli acuti dei clacson, gli strilli degli ambulanti e il rombo baritonale delle voci e dei suoni di fondo.
Città energica Il Cairo, che, come dice il tassista che ci accompagna all’aeroporto, never sleeb, terminando con la classica storpiatura araba della P, come in byramids o nell’indignato it’s...un-accebtable. Sono fantasticamente arabi questi egiziani.

Un’ultima nota curiosa. Mentre tutto il mondo fa i calcoli utilizzando i simboli numerici noti col nome di arabi, in Egitto gli arabi locali espongono i prezzi utilizzando delle cifre diverse, che seguono lo stesso sistema ma sono di derivazione indiana. Eccole:


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È come se in un mondo come il nostro, dominato dalla scrittura con i caratteri romani, gli italiani, proprio loro, leggessero il Corriere della Sera in cirillico. In una realtà parallela, forse lì sì.



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