Brutta cosa la fame, che non ti fa ragionare. Eseguo a spanne un giochetto statistico: tutto questo l'ho visto in meno di mezzora...
Foto di Fabio Pulito
Qui non troverete le pagine di un diario di viaggio, né elogi a luoghi fantastici o cronache di memorabili incontri. Questa è una raccolta di storie, pensieri, immagini. Ma soprattutto di stranezze, che per altri magari sono normalità. Perché per osservarle, queste bizzarrie, sono necessari filtri speciali: stramberia, cinismo, pignoleria, testardaggine, isolamento, impudenza, curiosaggine, nerdismo. Difetti che modestamente, in varia misura, questo individuo seminomade possiede un po' tutti.
Passeggiare a Kuala Lumpur è un affare serio. I marciapiedi sono bastioni alti quasi mezzo metro e ad ogni incrocio o cancello bisogna scalarne uno. Le radici dei banyan formano dossi spigolosi; pali, alberi, tettoie e mezzi trasformano il percorso in una pista da slalom. Se poi è piovuto, e capita spesso, le mattonelle labili sputano liquame sui passanti. Uno studente inglese di sangue pachistano mima le prodezze di un pedone in città: le mosse sono quelle di uno sketch dei Monty Python.
Uno spazzino indiano pulisce il marciapiedi. Dal bidone spunta una serie di scope: le spazzole di ramaglie puntano verso l'alto e i manici sono piantati nello strato di rifiuti. Cerco con lo sguardo le mani dello spazzino. Che illuso sono a volte, mi dimentico dove sono: per un attimo avevo pensato che indossasse dei guanti...
Una notte a Bangkok incontro D. Se chiudi gli occhi mentre lo ascolti dopo cinque secondi sai già che è emiliano. "Sono nato a Reggio ma sono bolognese..." Piccolo, minuto, la chioma nera che ondeggia. Sotto la pelle scura scorre sangue tamil, i lineamenti indiani seguono una variante del sud. Dopo aver detto a me di essere bolognese, confessa a degli inglesi di non essere italiano. "Se hai un genitore italiano o sei stato adottato ottenere la cittadinanza è una formalità. Ma chi, come me, ha la famiglia straniera può provarci per anni e per anni non farcela." D. è spigliato, ha studiato in Italia e in Australia, è intraprendente, sveglio, una risorsa umana preziosa. Mangia ragù e tortellini con gli amici italiani e si sente a disagio ad un pranzo tamil. Sono stupito e sbalordito, non me lo levo dalla testa, una frazione di colpa mi pesa sullo stomaco. Penso al dibattito in corso sulla cittadinanza agli immigrati. Ma di che parlano, con quale credibilità? In Italia come D. ce ne sono decine di migliaia.
Un semaforo, come, qui, da quando? Non c'è un incrocio, è un passaggio pedonale. Freno un po' in ritardo, ma con esperienza: un ABS manuale, graduale, con tatto. Mi fermo senza problemi prima della striscia bianca. Osservo uno straniero che attraversa davanti a me. Sento un sorriso che mi flette le labbra mentre il sole del mattino mi frolla la pelle. Il proiettore si inceppa, la vita va in pausa, dopo un paio di secondi il film riprende, ma un segmento spazio-tempo è andato perduto. Il motorino è a terra, io sto ancora in piedi, le ginocchia piegate e i palmi sull'asfalto. Un ragazzino del posto mi ha tamponato. Mi alzo, guardo il thai, gli dico che era rosso, scherzi della psiche: ho parlato cinese. Il minuto che segue è da studio sociologico. Mentre sollevo il motorino il ragazzino sparisce, non è una sorpresa, non contavo su di lui. Lo straniero che attraversava ha visto tutto, ma dal momento che è all'estero non si è nemmeno fermato. Una ragazza coreana mi dà una salvietta. Arrivano due uomini, prelevano il motorino, se lo portano via dopo avermene dato un altro. Di solito ti chiedono una somma per i danni, ma ho noleggiato il mezzo alla reception dell'hotel e questa sembra essere una garanzia sufficiente. Mi spolvero i jeans, sistemo la camicia, pulisco con l'acqua le abrasioni sui palmi. Dovrei tornare in stanza e applicare il disinfettante. Ma me ne frego con calcolo, risalgo in sella, do un'occhiata alle montagne, accelero, volto pagina. Un cielo così ha bisogno di palme, e poi risaie, salite, templi, colori. E sto pensando ai tropici, alle tonalità, all'architettura, non certo al rosso del Mercurocromo.
Di che ti rammarichi? Che cosa mi invidi? Cerchiamo entrambi lo stesso futuro. Tu dall'interno, come stimolo a muoverti. Io sono già uscito e lo cerco qui fuori. Non ci separano stile, coraggio, follia. Tra me e te c'è soltanto un cancello, e tu lo puoi aprire quando ti pare.
Ho un amico che abbina una pessima memoria a un fiuto da segugio per le buone storie. Ogni volta che lo vedo me ne racconta un paio, che estrae da un repertorio di una dozzina di titoli. Le riconosco dall'incipit, ma lo lascio continuare, poi all'ultima frase anticipo il finale. "Ah, te l'avevo già raccontata..." "Si, ma non mi sono stancato di ascoltarla."
Devo cambiare il passaporto, quello vecchio è andato: finite le pagine, timbrate via in pochi anni, con dei tocchi asiatici di inchiostro rosso e blu, un'apertura sudamericana ed etichette australiane. Innanzitutto devo procurarmi le fototessere, il posto più vicino è Connaught place. "Non ascoltare nessuno quando cammini in quella zona, è pieno di truffatori e di rompiscatole." A Delhi su questo sono tutti d'accordo. Cammino sul marciapiedi, con passo sicuro, all'improvviso ho la sensazione che qualcuno mi segua. "Sir...Sir...mi scusi Sir...Sir...Sir...la sua borsa è aperta." Seguo il consiglio e faccio finta di niente. "Sir...aspetti, la sua borsa è aperta!" Sono sordo, un idiota, non parlo l'inglese, qualunque sia la scusa non gli rispondo. "Sir...SIIIRRR! LA SUA BORSA È APERTA!" Continuo a camminare, senza esitazioni. "SIR! SIR!" Nessuna reazione. "SIR! SIR! FUCK YOU MAN!" Finalmente si arrende e lentamente scompare. Arrivo al negozio e poggio la borsa...fuck you man, era aperta davvero!