mercoledì 23 novembre 2005

798: Pechino d'arte. Pechino - Cina, 23 novembre 2005

Il visitatore che fa affidamento sulle guide pubblicate dalle più importanti case editrici internazionali è indotto a credere che le migliori esposizioni d’arte di Pechino vengano organizzate presso la China Art Gallery, una moderna struttura nel pieno centro cittadino. La galleria però ospita attualmente soltanto una serie infinita – e un po’ noiosa – di esposizioni di calligrafia cinese contemporanea.

Per andare alla scoperta delle nuove correnti artistiche e delle migliori esibizioni di pittura, scultura e fotografia della capitale, seguiamo invece il consiglio di E., un poeta africano che vive a Pechino. Secondo lui il posto giusto è 798, dove si concentrano alcune tra le migliori gallerie del paese.

798 è un complesso di fabbriche e vecchi magazzini, scomodamente sistemato in un’area remota e piuttosto squallida della periferia pechinese. Gli edifici sono stati ristrutturati e convertiti in gallerie d’arte gestite sia da cinesi che da stranieri. Le sale sono degli spaziosi monovolumi in cui scalette in acciaio si arrampicano lungo le pareti verso soppalchi anch’essi in metallo. Locali che assomigliano a dei loft, in cui vengono esposti quadri, sculture, composizioni e gallerie fotografiche dei migliori artisti cinesi degli ultimi anni.

Vengono dalla Cina, ma anche dalle numerose Chinatowns sparse per il mondo. Espongono opere di ogni tipo.

Quadri di gusto discutibile come una rivisitazione in chiave lesbica della scena della crocifissione. Foto ad effetto come quella di una schiena tatuata con un’enorme mappa della Cina. O l’immagine di un corpo femminile su cui, per mezzo dei frammenti rossi della corazza di un crostaceo, l’artista ha riprodotto un finto squartamento.

Galleria Continua, una filiale della omonima galleria di San Gimignano, ospita una esibizione restrospettiva di Chen Zhen.

Alcune delle sue “installazioni” mettono in relazione l’uomo e i suoi oggetti con gli elementi della natura. Negli scaffali di una libreria sono stati inseriti dei quotidiani carbonizzati. Alcuni oggetti di modernariato sono stati invece immersi in vaschette piene d’aqua. Infine, una stanza con tutti i suoi mobili e suppellettili è stata interamente ricoperta di fango. E’ il circolo vizioso innescato dall’uomo che destabilizza l’equilibrio della natura con il suo irrefrenabile impulso al materialismo, subendone poi gli inevitabili effetti negativi.

La Long March Space esibisce la riproduzione in acciaio inox di un asteroide ritrovato lungo il percorso della lunga marcia comunista. L’artista Zhan Wang spiega ironicamente la sua intenzione di caricarlo in un razzo che lo porti nello spazio, a completamento del circolo “Spazio-lunga marcia-spazio”, nel quadro di un glorioso piano per una “Nuova Lunga marcia”.

Altre opere giocano invece con tradizioni e antiche credenze. Chen Zhen lo fa mettendole in relazione con alcuni tratti della cultura occidentale cercando di trovare un punto di incontro tra gli organi della nostra anatomia e l’idea del Qi alla base della medicina cinese. Guo Fengy ci mostra invece un corpo umano attraversato dai percorsi complicatissimi delle linee dell’energia, i principi fondamentali della medicina tradizionale e delle tecniche di massaggio.

Ci sono poi alcuni lavori a sfondo storico. Un mosaico di bellissime foto in bianco e nero della rivoluzione è racchiuso dalla sagoma del busto di Mao. Nella stessa sala alcune statuette rappresentano donne rivoluzionare con lo sguardo fiero e il fucile in mano, che si librano in eleganti figure di danza classica.

Si passa quindi ad una provocatoria galleria fotografica in cui vengono esposte le foto di via Qianmen. Una strada che prima della rivoluzione comunista era un’elegante area commerciale, dove i pechinesi potevano trovare i negozi più lussuosi o rilassarsi in eleganti cortili. Le foto mostrano invece le misere condizioni degli abitanti di oggi, che si trascinano o si sdraiano tra il degrado di quest’area dimenticata che, come spiega l’artista, “se ne sta come un’isola solitaria nel mare della città moderna”.

Per terminare la visita a 798 è possibile passeggiare tra le aule di una scuola d’arte in cui giovani studenti si esercitano utilizzando modelli cinesi o copie di opere dell’epoca classica occidentale. Li potete osservare mentre si impegnano sui loro esercizi, in freddi uffici di epoca maoista illuminati dalla luce ghiacciata del neon, con le pareti tappezzate dai loro lavori, in angoli impolverati dove si ammassano cavalletti, radioline, sgabelli, e qualche bottiglia di whisky. Scorci di un contrasto affascinante tra squallore e creatività.

E., il poeta africano, spiega che ogni tanto a 798 può capitare di imbattersi in qualche opera che critica il regime, sempre però in modo molto sottile.

Ma qual’è l’atteggiamento del cittadino ordinario nei confronti della politica? Nelle classi in cui insegna l’inglese E. prova spesso ad affrontare temi delicati come quello di Tiananmen ’89. Gli studenti ricordano bene quei drammatici momenti ma attribuiscono al movimento studentesco l’intenzione esplicita di rovesciare il governo. E. li corregge, spiega loro che quegli studenti disarmati volevano soltanto esprimere la loro insoddisfazione. Chiedevano più libertà, riforme che potessero dare vita ad una svolta democratica. Non si trattava di un colpo di stato.

I suoi interlocutori scrollano le spalle e si esaltano invece ricordando le manifestazioni di carattere nazionalista che altri studenti hanno inscenato quest’anno contro l’atteggiamento revisionista del governo giapponese, reo di voler cancellare dai libri scolastici le pagine infamanti sull’occupazione della Manciuria. E. scuote la testa. “Non c’è paragone, quelle manifestazioni non erano spontanee, come a Tiananmen, bensì pilotate dal governo stesso”.

Ma noi ci fermiamo qui. Le tensioni tra Cina e Giappone fanno parte di un’altra storia, per la quale vi rimandiamo alla prossima puntata.

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