venerdì 13 luglio 2012

Italiani in Thailandia/2: i ristoratori

Cervelli in fuga, una delle tante piaghe che ha colpito l'Italia negli ultimi anni. A dire il vero credo che abbia colpito soltanto il mondo dei media italiani, perché scienziati, economisti, medici, ingegneri, architetti, artisti e professionisti di ogni settore sono decenni, anzi secoli, che lasciano il paese per andare a cercare fortuna altrove. Non è che lo facciano tutti, ovvio, ma nemmeno pochi.
Io non sono certo uno di loro. Il mio cervello sarà anche fuggito, ma non dall'Italia...dal mio cranio! Per lo meno questo è quello che hanno affettuosamente pensato alcuni miei conoscenti dopo alcuni miei colpi di matto.
Comunque sia queste ondate di materia grigia, a differenza di quelle oceaniche dello tsunami del natale 2004, non si sono di certo abbattute sulle coste della Thailandia. Qui, dal bel paese, più che cervelli superdotati arrivano gambe leste, mani delicate, dita sensibili e palati sopraffini: chef, ristoratori e direttori di sala, sono queste le professioni che aprono sbocchi per gli italiani che si trasferiscono a Bangkok, Pattaya, Koh Samui e Phuket.
Di certo però non si tratta di una schiera omogenea di professionisti del buon cibo. Da profano osservatore io ho identificato quattro macro categorie, probabilmente suddivisibili a loro volta in gruppi più piccoli, a volte sovrapposte, con bordi sfumati e definizioni fluide. Eccole qui di seguito:

- I VIP, gli altolocati, quelli con ingenti somme da investire che probabilmente partecipano a gare d'appalto per aggiudicarsi la gestione dei ristoranti italiani negli hotel a cinque stelle sistemati lungo le sponde del Chao Phraya a Bangkok o dei resort di lusso nelle isole del sud. Il gruppo comprende anche come membri adottivi gli chef italiani che ci lavorano, gli aiuti cuoco, i direttori di sala, ecc.

- Le società califfato, come quella che possiede una catena di ristoranti italiani di alto livello nelle zone più costose di Pattaya: Walking street, Second Road e zona moli. Quest'ultima filiale, la più recente, secondo quel che ci ha raccontato uno dei soci è costata 1.5 milioni. "Di baht thailandesi?" Ha chiesto sovrappensiero il mio amico L. "No, di euro!" Una cifra stratosferica per un ristorante in Thailandia. "Ma c'è tutto quello che un qualsiasi operatore del settore può sognarsi di avere a disposizione...", aggiunge lui. Sarà, ma di sicuro hanno bisogno di un successo esplosivo se vogliono avere un ritorno sull'investimento in fretta, e per loro stessa ammissione non possono nemmeno contare su un gran numero di coperti. Dovranno lavorare abilmente sui prezzi del menù, per forza di cose.

- I professionisti da una vita: sono quelli che hanno sempre lavorato nel settore, magari da generazioni, e che si sono semplicemente portati in Thailandia le competenze, assieme alle quattro cianfrusaglie infilate in valigia. Personalmente ho conosciuto i fratelli napoletani del Via Vai di Koh Samui, dove fanno una pizza più buona di molte mangiate in Italia. E l'emiliano del Valentino di Pattaya, specializzato in pasta fresca, in particolare tortellini e ravioli. Ma ce ne sono molti altri.

- Per ultimi (in tutti i sensi) ci sono quelli che L - un amico toscano - definirebbe "i raccattati della piena". Bande di disperati in fuga. Arrivano in Thailandia, si trovano una donna, per vari motivi non se la possono portare a casa (spesso anche se potessero non lo farebbero comunque) e, provando a sfruttare come strumento di marketing il volano di buona reputazione creato e già avviato dai membri delle suddette categorie, aprono quello che loro osano addirittura chiamare "ristorante", ma che potrebbe essere più semplicemente una capanna di bambù con cucinotto, un magazzino di cemento con stufa elettrica, una roulotte o altra struttura prefabbricata munita di forno o anche semplicemente il piano di sotto di casa loro. Ricordo di aver mangiato una pizzetta (il diminutivo non si riferisce alla dimensione) cotta in un fornetto (idem) a gas presso una squallida baracca nei dintorni del molo di Tong Sala a Koh Phangan. Io e l'amico GM eravamo gli unici clienti, in quel momento di sicuro ma forse anche dell'intera giornata, o settimana. Alla fine del pranzo il simpatico romano per arrotondare propose di noleggiarmi il motorino della sua compagna per un giorno. Si potrà anche accusarlo di scarsa dimestichezza con taglieri, pentole e fornelli, ma certamente non di non aver provato a diversificare le attività.

Potete leggere gli altri brani della serie "Italiani all'estero" cliccando qui.

Nell'immagine il fotogramma di un celebre film di Alberto Sordi, utilizzato anche nell'insegna di un famoso ristorante italiano di Pattaya.

6 commenti:

dario ha detto...

E' un post molto interessante! Specie l'aneddoto del romano; mi chiedo come stesse a Roma se ha migliorato le sue condizioni di vita con una pizzeria in una capanna.

Qui in Messico molti italiani si cimentano nell'insegnamento della lingua italiana (ad esempio io) e altri nella ristorazione.

Non è detto però che questi ultimi siano dei cuochi professionisti. Magari sanno solo fare una pasta al pomodoro e un intento di lasagna. I più bravi, migliorano con l'esperienza ma è meglio non fare confronti con i ristoratori professionisti.

Quello di Hong Kong ha detto...

Io no ho incontrata di gente che "si arrangia", nel sud est asiatico, si presentano dicendo: ah ma io mi sono sistemato, c'ho la mia donna, la mia attività... poi, scopri che fanno la fame, che la donna è simpatica e sveglia come un pezzo di marmo, che non tornano in Italia perché non c'hanno i soldi. Con ciò non li voglio denigrare, anzi, è tutto spirito di avventura! Solo spesso ti mettono giù le cosa molto più rosee di quel che sembrano.

Fabio ha detto...

Dario: qualcuno che insegna italiano c'è anche qui, Andrea per esempio, un lettore di questo blog. Ma la domanda è davvero bassa. Per chi è interessato a lavorare in quel settore in Asia meglio il Giappone, la Corea, Taiwan e in parte la Cina. Ovviamente anche l'Australia e la Russia, Mosca in particolare, ma quella non e' già più Asia...
Suppongo che a Città del Messico ci siano molti ristoranti italiani di un certo livello. Bangkok ne e' piena, anche se sono tutti sofisticati e pretenziosi> Difficile trovare la pizzeria tranquilla o la trattoria (ma ormai sta diventando un'impresa impossibile anche in Italia...)

Fabio ha detto...

Quello di Hong Kong: hai ragione, il microcosmo degli italiani all'estero, specialmente qui - ma anche in Latino America credo - pullula di sbruffoni un po' disperati che ricordano i personaggi più patetici impersonati da Gassman, Sordi o Verdone in alcune delle loro parti più memorabili...
PS "che la donna è simpatica e sveglia come un pezzo di marmo" hahaha

Da Bangkok ha detto...

Insegnare italiano qui non è certo come essere madrelingua inglese e lavorare per una delle 100mila scuole e scuolette private e pubbliche.

Confesso di non avere una casistica statisticamente significativa per poter fare un quadro altrettanto completo (mi sto perdendo negli altri post della stessa serie!) forse perchè non frequento italiani, per motivi di sopravvivenza! Gli unici 2 e 1/2 sono un Ajarn (professore universitario) che con il Ministero degli Esteri e dell'Istruzione ha fatto anni di Africa e Asia... e una psicologa (con il marito) che hanno una vita nomade che non invidio.

Per il resto? In tanti come magistralmente descritti in poche parole da quello di Hong Kong (che spero sia al sicuro in questo momento) che neppure mi rivolgono la parola (meglio, dico io!)...

Fabio ha detto...

Da Bangkok: la "fortuna" dei madrelingua inglese che possono atterrare in un posto qualunque e nel giro di una settimana trovare un lavoro se ci vogliono restare e' una cosa che mi ha sempre intrigato.
Per quanto mi riguarda non solo non frequento italiani (a parte un mio amico dei tempi dell'universita' che lavora qui)...direi che non frequento quasi nessuno :)
I turisti, specialmente i giovani backpackers, tendono ad avere i soliti due o tre argomenti di conversazione che sento da piu' di dieci anni, e li affrontano in maniera nemmeno troppo profonda o originale. La maggior parte degli expats per motivi insondabili mi mette a disagio. Anche tra i thai non ho trovato molta gente con cui ho legato. Gli amici con cui nell'ultimo decennio ho stabilito un legame "duraturo" si contano sulle dita di una mano. Sono relazioni che coltivo con perseveranza e affetto.
Per il resto me ne sto molto da solo, e onestamente misteriosamente e forse anche in maniera un po' preoccupante ci sto sempre meglio. Osservo molto e ogni tanto ho degli incontri "toccata e fuga" che mi offrono spunti di riflessione e aneddoti tragicomici.