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martedì 1 dicembre 2009

Pregando i robot - Bangkok, Thailandia

Percorro il marciapiedi e con la coda dell'occhio percepisco distrattamente la vita al bordo della strada. Parrucchiera, 7/11, bancarella, estetista. La sera thailandese mi scorre attorno, tra profumi, attività, confusione e gente. È il rumore di fondo, l'ambientazione a margine: mi sfiora gentilmente solleticando i sensi, stimolando piacere senza farsi notare.

Dietro una vetrina una signora prega, rilassata e immobile in un devoto wai. I palmi giunti, il capo chino, gli occhi chiusi ed un mantra in mente. Il mio sguardo scende verso il luogo sacro, aspettandosi di poggiarsi su una ghirlanda gialla, un tempio rosso-oro, statuette di Buddha. La sequenza delle mie mosse si svolge in background, non è un pensiero attivo ciò che la comanda, ma un riflesso, un istinto, una serie di immagini, già impresse nella memoria, che cercano conferme. Ogni oggetto, profumo, colore o suono, trova il suo posto in un armonia dimensionale. Se nulla stona la mia trance prosegue, il passo costante e lo sguardo mobile.

Ad un tratto rientro in possesso attivo dei miei sensi, è qualcosa che ho visto, che non mi aspettavo. Non mi sto sbagliando, non c'è alcun equivoco: la donna sta rivolta verso un angolo del negozio, davanti a lei c'è soltanto un tavolino e sopra il tavolino ciò che mi ha bloccato: sistemati con ordine, schierati in file e colonne, dei robot giocattolo di plastica colorata. Un plotone di Gundam o di mostri di Vega, ritti sull'attenti, di fronte alla donna che prega.

Quando credi ormai di esserti abituato, di essere in sintonia con ciò che ti sta attorno, di riuscire a dare un senso anche se non afferri l'essenza, ti ritrovi confuso in mezzo al marciapiedi ad osservare una signora che in devota preghiera si rivolge ad una truppa di eroi della tua infanzia. 

E hai la vaga sensazione di cominciare daccapo.

Foto di Fabio Pulito

giovedì 26 novembre 2009

Il mio spirito custode - Bangkok, Thailandia

Una ragazza con cui uscivo, una mattina al risveglio, mi disse che nella mia stanza viveva un fantasma. Le era apparso in un sogno e indossava il tipico lenzuolo. Non era esattamente un'apparizione spaventosa: una versione asiatica dello spiritello Casper.

Le si è avvicinato, galleggiando a mezz'aria, e con fare cortese le ha chiesto chi era. Quando ha risposto che era soltanto un'amica lui ha annuito, le ha dato il benvenuto, l'ha invitata a tornare e poi è scomparso.

I thailandesi credono nei fantasmi e negli spiriti, ne sono spaventati e affascinati al tempo stesso, ne parlano spesso, ci fanno dei film. La cultura dei fantasmi è articolata e interessante.

Quando vai in un ristorante, un'abitazione, un ospedale ai confini del complesso noterai un piccolo santuario, un tempietto, una casetta in cima a un piedistallo. Sulla veranda della casa bibite gassate, frutta, riso, fiori e incenso. I thailandesi credono che degli spiriti custodi si aggirino nei dintorni della loro proprietà: se ne prendono cura, per rispetto e per timore.

Ho detto alla ragazza che ho parlato con lo spirito, spiegandogli che in effetti eravamo amici. Sorprendentemente non stavo scherzando: nel modo di uno che viene da lontano, con origini cristiane mischiate a socialismo, scetticismo razionale, materialismo storico, liberalismo, romanticismo, eccetera eccetera, senza la minima idea di come approcciare un fantasma, in colpevole segreto e fretta imbarazzata, avevo davvero parlato col fantasma! Lei mi ha ringraziato, senza occhiate di scherno.

Non credo ai fantasmi ma qualcuno mi ha detto che ce n'è uno che vive nel mio appartamento. Potrei sbagliarmi, magari esistono davvero: per questo forse metterò dell'acqua a fianco al letto.

Immagine "Amleto e il fantasma di suo padre" di J.H. Fussli, 1780-1785, da Wikipedia.org