mercoledì 10 giugno 2009

Se lo han cargado - Phuket, Thailandia

“Certo che questa spiaggia è proprio bella.” Ha ragione Lorenzo, che con mosse da civetta scandaglia la baia da nord a sud. È quasi il tramonto a Patong. È come se una polvere d'oro si fosse adagiata sulle foglie delle piante tropicali che gonfiano la superficie delle colline alle estremità di questo arco immenso. Polvere che si impiglia tra le nuvole che anche oggi ci hanno risparmiato, sulle bolle di schiuma delle onde su cui saltellano come insetti ciccioni le moto d'acqua e tra i cavi del para-sail a cui stanno appesi i goffi turisti arabi e indiani.

A nord però, la fitta vegetazione del pendio più lontano è interrotta non solo dal groviglio tipicamente asiatico dei cavi dell'alta tensione, ma anche da un'enorme chiazza bianca: è il cemento di uno dei complessi residenziali che stanno invadendo l'area costiera compresa tra Patong e Kamala beach.

La mattina successiva noleggiamo un motorino e facciamo la barba al profilo occidentale dell'isola, dall'alto verso il basso. Dopo un bagno a Nai Han, che per me significherà per sempre “tsunami”, viriamo a est e tagliamo verso Phuket Town, dove tiriamo sera tra quartieri di respiro coloniale, frullati di mango e massaggi rilassanti con oli aromatici.

Prima di rientrare alla base, pilotati probabilmente dal ricordo del tramonto della sera precedente, dirottiamo d'istinto verso Kamala Beach. La spiaggia ed il paesino sono simili a quelli che abbiamo visitato in giornata, escludendo ovviamente Patong, che è il maggior centro turistico della costa occidentale thailandese. Kamala si offre ai visitatori con qualche ombrellone, alcuni ristoranti, una manciata di bar con le ragazze che schiamazzano, un po' di hotel e alloggi più economici. Tutto sommato un paesaggio familiare.

L'atmosfera allegra e rilassata svanisce però quando lo scooter si divincola tra i tornanti, le salite e le discese della strada costiera che si snoda tortuosamente verso sud. Il fascio di luce del nostro faro viene inghiottito dal buio e dalla vegetazione tropicale. Le melodie e i rumori vivaci del paese si dissolvono schiacciati tra i suoni della giungla e quelli del mare. L'atmosfera diventa quasi spettrale e ai bordi delle strade spuntano figure che potrebbero far pensare a dei fantasmi. Il manto bianco che li avvolge non è però né un lenzuolo né uno strato di ectoplasma, bensì un sottile velo di polvere di malta. Sono uomini e donne, a volte bambini, piccoli ma forti, che trasportano carriole, secchi e attrezzi. La manodopera delle imprese che costruiscono i nuovi residence non si ferma mai e sembra rimasta la sola a non curarsi della notte, della bassa stagione, delle epidemie e della crisi globale.

La prima valanga di casupole che incontriamo è l'inizio di una serie quasi ininterrotta di sventagliate di cemento spalmate con varie angolazioni sul lato vista mare delle colline, per centinaia di metri, forse chilometri, da Kamala Beach in direzione sud.
A Lorenzo questo scempio ricorda un tratto della costa sarda, così come si presenta a chi lo approccia a bordo di una barca.

Qui per lo meno l'architettura delle costruzioni è spesso di buon gusto, ma la voracità con cui si contendono ogni palmo di verde è spietata. La moto scorre, i manovali trottano con i secchi che penzolano dai pali flessi sopra le loro spalle, e i nomi delle resort si susseguono come in un copione burlesco. Colpi di genio creativo del tipo: “Plantation”, “Green Oasis” o “Blue Lagoon”.

Mi torna alla mente un commento di Javier, un amico madrileno, a proposito di Yangshuo, una deliziosa località turistica della Cina meridionale: “Oye, se lo han cargado bastante el sitio ese.” Ogni lingua ha le sue espressioni geniali, fucilate concise di una chiarezza letale. Tradurre una frase del genere sarebbe come produrre una modesta utilitaria per appiccicarci poi sopra il marchio Ferrari. Un sacrilegio linguistico, un atto di cannibalismo letterario, una licenza poetica ritirata dalla polizia della crusca per oltraggio al pudore, o qualsiasi altro peccato di penna vi possa venire in mente.


Lo ha detto Javier e io uso la sua lingua: quel lembo di costa se lo han cargado.

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