martedì 21 gennaio 2003

CFZ: Colon Free Zone - di William Stabile

CFZ. Alcune semplici riflessioni sociali sull’economia e sul primitivo concetto di tempo.

CFZ. Colon Free Zone.
Zona libera, ma da cosa? E noi, liberi da cosa? Non si capisce.
Liberi dalle tasse, dalle imposte!
Ma liberi di spendere si è?
E perché dovremmo essere liberi di spendere?
Io sono libero si, però, di non spendere.
E infatti, entro e non compro nulla.

Sembra di essere in una arena bombardata da oggetti che inevitabilmente attraggono la mia attenzione. E devo resistere mentre mi tentano.
Se fossi un leone, mi proporrebbero una criniera nuova, una coda di pura seta indiana e una bella leonessa africana per pochi dollari, e poi, “vai alla guerra, sei pronto” – direbbero.
Colon Free Zone è la seconda area di libero scambio al mondo dopo Hong Kong.
Una zona chiusa come un lager. Circondata da alte mura dove l’orgia consumistica della nostra società globalizzata ha eretto il suo tempio.
 
Fuori, si respira area di povertà e di una ricchezza a cui gli uomini tendono il naso ma ne sentono appena il profumo. Un profumo vicino che si concretizza in una maglietta colorata e sgargiante di un ragazzo, un paio di sandali, gelatina, per capelli neri come pece, che incolla ed esalta i volti delle donne e dei ragazzini.
 
Dato che la città di Colon era ed è la più povera del paese, hanno pensato bene di costruire qui la Zona Libera per rilanciare l’economia. Ma i soldi, stranamente, si attaccano sempre nelle mani di chi ne ha di più e continua ad averne. Così, dopo, si suole dire che sia colpa della distribuzione del reddito.

Più in là, ad un km, hanno costruito un porto con una banchina nuova - il molo 2000- dove attraccano le navi da crociera americane prima di attraversare il Canale.
Ma il bambino-turista americano, bianco, lindo e adiposo, scende e viene scortato (per evitare furti ed aggressioni) fin nell’arena a spendere per quanto tempo vuole.

E qui cambia il concetto di tempo.
L’ordine e’ un concetto della nostre società estremamente industrializzate e perciò organizzate.
Qui non ci sono né regole, scarse protezioni sociali, né orari fissi di lavoro.
Si lavora e si sta nei negozi un tempo che è molto più tempo di quanto si stia nei nostri uffici. E’ un tempo dilatato all’infinito durante la giornata. Ma sui libri di economia e politica dell’accademia, c’è scritto che si lavora meno nelle società sottosviluppate o in via di sviluppo. Ma a me i conti non tornano.

Le luci degli almacenes sono sempre accese e c’è sempre qualcuno che è all’interno a lavorare o all’esterno a vigilare.
Me ne accorgo quando di notte torno verso la capitale in bus da Colon.

Ma potremmo mai immaginare questi luoghi diversi da come sono? Simili a nostri forse?
Con una ricchezza ‘al profumo di banda larga’ come la nostra?
No, non possiamo. Sarebbe un tradimento. Tradimento, credo, dell’ordine primitivo. 

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