venerdì 2 ottobre 2009

Sweating the food away - Bangkok, Thailandia

Eccolo qui, già lo sento che arriva. Sale lentamente da sotto il cranio, come una cupola di aghi che vuole uscire dalla testa. Chiacchiero un altro po', assaggio l'insalata di calamari, intingo un gambero in quella salsa sospetta, poi lo faccio sgocciolare e me lo infilo in bocca. Dopo dieci minuti il mio aspetto è cambiato: i capelli inzuppati, gli zigomi madidi mentre gli occhi lucidi galleggiano nei laghetti che goccia dopo goccia mi hanno inondato le orbite. Perline salate, come lumache trasparenti, mi scorrono sulla gola con passo impercettibile, lasciandosi dietro delle scie scintillanti.

Sono almeno dieci anni che mi alleno duramente: laksa fumanti, masala speziati, hot pot bollenti e tom yam incandescenti. Non c'è nulla da fare: il mio corpo, la mia testa, non ci si abitueranno mai e reagiranno sempre così.

“Quando dicevi che il cibo piccante ti fa sudare non scherzavi eh?”
Tra due cucchiaiate di riso saltato Roberto riesce a stento a smorzare una risata. Mi passo titubante una mano tra i capelli e per asciugarmi il sudore uso quattro salviette. Le ragazze si fanno una rispettosa risatina. Nemmeno una goccia o una venetta di sudore brilla sulla loro pelle vellutata.

Li distraggo con battute in thailandese maccheronico: “Ah vedi, sta cominciando a piovere e la mia sedia sta fuori dal raggio dell'ombrello”
“Hey, qualcuno ha per caso una bottiglietta di shampo?”
“Ecco, un altro scemo che tira gavettoni fuori stagione”
Saranno le battute o il modo in cui mi esprimo: ridono e si dimenticano il mio look da dopo-doccia.

Sono un po' irritato per la quantità di sudore che la mia testa ha secreto in meno di mezzora. Vorrei dire al mio corpo che sta proprio esagerando. Ho studiato fisica e non posso non stupirmi per questa sua capacità contro le leggi della scienza di trasformare ogni grano di peperoncino in cucchiaiate di liquido che mi sgorgano dai pori. Il misterioso processo ricorda vagamente alcuni dei piatti preparati da mia madre. Devono essere mangiati con estrema cautela, dopo almeno mezzora che sono stati estratti dal forno, quando ormai la temperatura è scesa di qualche grado al di sotto del punto di fusione del piombo

Il problema è che
alla fine amo questo cibo. E anche se non mi diverto ad ustionarmi le papille, mi piace comunque sentire in bocca quell'effetto. Se poi dovrò passare tutta la serata raccontando barzellette in thai o in cinese e innalzando sul tavolo un obelisco di salviette...beh, alla fine è un prezzo equo da pagare.

Foto Luis Armstrong, di Hermann Hiller, da New York World-Telegram and the Sun Newspaper photograph collection, 1953 (PD)

giovedì 1 ottobre 2009

Soltanto una smorfia di fatica - Bangkok, Thailandia

Scendo dalla BTS a Saphan Thaksin, mi fermo alle bancarelle, compro riso e spiedini, dei cubetti di tofu e una bottiglietta di te, poi svolto a destra ad un grande incrocio. Cammino su un marciapiedi insolitamente spazioso, tirando e masticando gli ultimi pezzi di carne quando noto una scena che mi inchioda sul posto.

Un vecchietto curvo mi cammina incontro, spingendo un enorme carrello della spesa. Questa non è affatto una scena atipica, ma c'è qualcosa che cattura la mia attenzione. Una delle ruote è incastrata in una crepa e il vecchietto spinge ma non riesce a sbloccarla. La testa e le spalle si allungano in avanti, le ginocchia si abbassano e le gambe tremano, ma non c'è nulla da fare, il carrello non si muove. Il foro nel suolo che ha fermato il carrello è una cosa da nulla, che quasi non si vede: ma è proprio guardandolo che mi rendo conto di quanto sia debole questo vecchietto. 

mercoledì 23 settembre 2009

Un'imponente operazione di polizia - Sihanoukville, Cambogia

(Primavera 2003)
La spiaggia di Sihanoukville è un posto tranquillo. Ci sono pochi stranieri e qualche bambino del posto.


Un ragazzino mi si avvicina, sorride e si siede. A differenza dei bambini che affollano Angkor non chiede l'elemosina e non ha nulla da vendere: forse vuole soltanto praticare l'inglese.

Con un saluto e due domande provo ad innescarlo, ma lui non mi risponde e mi fissa sorridendo. Noto di sfuggita che siede vicino alla mia borsa. Sono tentato di far finta di cercare qualcosa per afferrarla e sistemarla lontano da lui. Mi trattengo e per un attimo riesco pure a disprezzarmi per il mio solito istinto diffidente e sospettoso, europeo, forse italiano o addirittura veneto.

martedì 22 settembre 2009

Italiani in Thailandia/1: i vacanzieri - Koh Samui

Il geometra toscano è un uomo di mezza età, dal sorriso cordiale e i capelli argentati. Gli dico che ho una laurea in ingegneria: lui mi diverte con una serie di aneddoti sulla rivalità tra le due categorie a Firenze e dintorni. Vorrebbe conoscere una ragazza thai ma è un po' spaesato e non sa da dove iniziare. È stato sposato per molti anni e si sente un po' imbranato nelle tecniche d'approccio. Nei bar con le working girls non è mai entrato: i locali di quel tipo lo mettono a disagio.

Un paio di giorni dopo ha qualcosa da raccontarmi: la sera precedente è andato a bere una birra ai baretti con i lettini affacciati sul mare, dove servono cocktail sotto la stellata.

Ha finalmente trovato un'occasione per buttarsi: ha scambiato dei sorrisi con una ragazza, poi l'ha salutata e quella gli ha risposto. Nessuno dei due conosce bene l'inglese, ma gli interessi coincidevano...e sono finiti nel suo bungalow.

sabato 5 settembre 2009

Emozioni mute - Phuket, Thailandia

Il conducente thailandese entra nella lobbie, dà un'occhiata in giro e grida: “Mini-van to airport!”. Prendo lo zainetto e lo seguo all'esterno. Appena uscito dall'albergo sento dei rumori, mi guardo attorno ma non noto nulla di strano. Mentre entro nel mezzo il conducente afferra una borsa e si mette a correre lungo il marciapiedi. Torna quasi subito, con la borsa in mano, nota la confusione negli sguardi dei passeggeri e cerca di spiegare: “He no talk. He look lady”.

Le nostre espressioni devono averlo deluso: lascia perdere le spiegazioni, chiude il portellone e sale rassegnato al posto di guida. Un uomo straniero con i capelli ossigenati si avvicina al van con passo spedito. Si siede sul sedile davanti a me e fa scorrere la porta con foga eccessiva. Poi si volta, osserva un punto lontano, stende il braccio e punta un dito. Mentre la rabbia gli invade il volto esclama: “Ngh! Hmn! Ngh!”. Ci giriamo ma non notiamo nulla di particolare. In un attimo la confusione cede il passo all'imbarazzo e ognuno fa finta di fare qualcos'altro.

venerdì 28 agosto 2009

Italiani in Thailandia/0: un burino all'estero - Koh Samui, Thailandia

Sto seduto al computer in un'agenzia di viaggi quando qualcuno entra cantando “Nel blu dipinto di blu”. Potrebbe anche essere una scena simpatica se non fosse per l'angolazione volgare e strafottente impressa dal soggetto all'esibizione. Lo ascolto mentre cammina tronfio fino al banco e senza salutare né chiedere nulla continua a cantare.

Quando ha finito una strofa dice all'impiegata di voler effettuare una chiamata internazionale. “Che paese?” gli chiede la ragazza. “Italia” risponde lui. E poi aggiunge: “Foggia!”.

Credendo che nessuno capisca l'italiano, o che chiunque lo sappia sorrida divertito, il burino inizia ad imbastire un monologo immondo, utilizzando anche espressioni in dialetto pugliese. Un miscuglio di insulti e riferimenti sessuali, con note razziste nei riguardi della ragazza. Il tutto condito con un tono da spaccone.

martedì 28 luglio 2009

Lo spettacolo infinito - Bangkok, Thailandia

Solo Bangkok può proporre certi numeri ogni notte. Mentre l'alba spalma il mondo con olio e tinte grigie, gli ultimi clienti vacillano fuori dal locale, trascinando con i piedi anche la lingua e lo sguardo. Indugiano in strada schivando taxi e scocciatori. Sono gruppi dinamici, pervasi da una qualità fluida: uno perde un membro per acquistarne due, mentre un crocchio più grande, un tassello dopo l'altro, si riduce ad una coppia e poi ad un solo ubriaco, che scompare serpeggiando senza fare rumore.

La veranda di questo ristorante è un punto perfetto per dominare con lo sguardo l'intera scena. Lorenzo sorseggia un frullato ghiacciato. Sediamo senza guardarci, uno accanto all'altro e osserviamo lo spettacolo che apre il nuovo giorno. Dietro una fortezza di bottiglie di birra si nasconde una faccia dai tratti complessi. Il tocco sintetico, il tono grigio-fango, le linee distorte di bocca, occhi e naso devono essere il risultato di una notte pesante. I quattro o cinque litri di birra Singha, le cui prove stanno vuote e bagnate sul tavolo, sembrano completare una catena di eventi cominciata ore fa in una stanza d'albergo per dipanarsi in una serie di locali equivoci e bui.