sabato 5 settembre 2009

Emozioni mute - Phuket, Thailandia

Il conducente thailandese entra nella lobbie, dà un'occhiata in giro e grida: “Mini-van to airport!”. Prendo lo zainetto e lo seguo all'esterno. Appena uscito dall'albergo sento dei rumori, mi guardo attorno ma non noto nulla di strano. Mentre entro nel mezzo il conducente afferra una borsa e si mette a correre lungo il marciapiedi. Torna quasi subito, con la borsa in mano, nota la confusione negli sguardi dei passeggeri e cerca di spiegare: “He no talk. He look lady”.

Le nostre espressioni devono averlo deluso: lascia perdere le spiegazioni, chiude il portellone e sale rassegnato al posto di guida. Un uomo straniero con i capelli ossigenati si avvicina al van con passo spedito. Si siede sul sedile davanti a me e fa scorrere la porta con foga eccessiva. Poi si volta, osserva un punto lontano, stende il braccio e punta un dito. Mentre la rabbia gli invade il volto esclama: “Ngh! Hmn! Ngh!”. Ci giriamo ma non notiamo nulla di particolare. In un attimo la confusione cede il passo all'imbarazzo e ognuno fa finta di fare qualcos'altro.

Il furgone parte e il muto assesta un cazzotto al primo bersaglio che gli capita a tiro: il povero poggiatesta che ha soltanto la sfortuna di fare il suo dovere davanti a lui.

Mentre il conducente fa il giro degli hotel per raccogliere i passeggeri diretti all'aeroporto, il muto dà sfogo alla sua disperazione. Si stringe la testa, la scuote a lungo, come se volesse dire “No...no...no...”. Viene voglia di poggiargli una mano sulla spalla, di chiedere se c'è qualcosa che non va, ma la particolare situazione blocca un po' tutti. Attendiamo una sua apertura, che non tarda ad arrivare.

Dopo aver armeggiato con il cellulare il muto mostra al suo vicino la foto di una ragazza. Ci sporgiamo delicatamente per dare un'occhiata. Poi inizia a mimare la sua triste storia. Una trama di mani tese che decollano come jet, per atterrare in un aeroporto e tornare indietro. Le mani decollano e atterrano varie volte, come una navetta aerea che collega la Thailandia con qualche città di un altro continente. Voli che trasportavano lui qui o lei lì, o forse entrambi da qualche altra parte. La storia della loro relazione è esemplificata dai due indici che si uniscono e restano affiancati mentre lui inarca le labbra, per separarsi all'improvviso e allontanarsi fin dove è permesso dall'angusto abitacolo di questo furgoncino. Poi strabuzza gli
occhi e stringe le labbra, per dare una misura al dramma dell'evento. Scuote la testa in alto e in basso, chissà se per dire “È andata proprio così...” oppure “Ma in fondo è meglio così...”. 

Riceve un messaggio che si annuncia con un boato, lo legge e riprende a disperarsi in silenzio. Poi forse ne scrive uno, oppure cerca di chiamare. Ogni volta che il mezzo passa davanti ad un tempio, un albero banyan con i drappi e le icone o anche solo un semplice capitello buddista, lui smette immediatamente di fissare lo schermo e, in sincronia con la ragazza thai che mi siede a fianco, unisce le mani, chiude gli occhi e appoggia il volto sul profilo delle dita, fino a quando il luogo sacro è scomparso dalla vista. Per un attimo ho l'impressione che tutti stiano sospirando.

Oltre ad aver abbracciato la fede buddista indossa una maglia gialla con l'emblema monarchico, come fanno i thailandesi devoti al loro re. Chi è, dove l'avrà incontrata, che tipo di persona sarà quella donna che gli ha completamente stravolto la vita, facendogli prima cambiare fede e abitudini per lasciarlo poi sconvolto all'interno di un mini-van, circondato da sconosciuti che possono solo commuoversi, nel viaggio più triste che potesse immaginare?

Squilla il telefono. Lui risponde con un “Ngh!”. Ne emette altri due o tre, poi escogita qualcosa: si volta all'improvviso verso la ragazza thailandese e muovendo le dita vicino alle labbra la invita a parlare con il suo interlocutore. Il cellulare viene passato di mano in mano, la ragazza lo afferra e prova a rispondere ma all'altro capo della linea non c'è più nessuno. Il muto riprende il telefono come se fosse un uovo marcio; quindi poggia la fronte sul palmo della mano e ricomincia a scuotere la testa, affranto
più che mai.

Il cellulare squilla ancora e il muto riprende coraggio: la procedura viene ripetuta, ma il risultato è lo stesso. La testa gli sprofonda di nuovo tra le mani. La terza volta la ragazza parla invece con qualcuno. Ascolto attentamente e capisco qualcosa: sembrano in gran parte frasi di circostanza condite ogni tanto con un "sì" o un "no". Gli restituisce il telefono dicendo soltanto “OK!”. Mi aspetto che la curiosità gli catturi il volto, ma lui è soltanto contento e stringe il telefono, che se fosse davvero un uovo ora gli esploderebbe in mano. La ringrazia a palmi giunti, con bon ton tutto siamese. Lei annuisce e sorride, poi si volta verso di me, nota la mia curiosità e ruota i pugni davanti agli occhi, come per mimare qualcuno che piange. Ma chi ha pianto? È stato lui, lei o entrambi? Sapendo che sarebbe indelicato fare domande trattengo a stento la mia curiosità. Ma cosa sarà successo? È la solita storia? Un'altra donna senza scrupoli che ha raggirato un turista? Sarà per la simpatia che ispira il personaggio ma vorrei credere che il suo sia un caso diverso. E poi con chi ce l'aveva quando puntava il dito? Con la stessa donna che lo ha chiamato, che ha parlato con una sconosciuta per sollevargli il morale? O qualcun altro che si è intromesso al momento della partenza, rovinandogli l'addio che si era preparato?

Mentre lo osservo che afferra il bagaglio, saluta tutti e si avvia verso il terminal, spero sinceramente che gli vada tutto bene. Che i passeggeri del volo in cui si sta imbarcando lo osservino mentre in silenzio immagina sorridendo di ritornare per un nuovo incontro con la donna che l'ha stravolto.

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