giovedì 23 giugno 2011

Pensieri sghembi/14

Grattacieli a Singapore, di Fabio
- Dici che non sono bravo a vendermi? Potresti avere ragione, ma non credo: è che certe tecniche di marketing personale mi fanno un po' schifo.

- Ci sono un sacco di cose che ho fatto di cui mi vergogno. Una di queste è l'aver finto di non riconoscere qualcuno, per ragioni che potrebbero sembrare evidenti ma che non lo sono per niente. Che poi loro abbiano fatto lo stesso con me non mi consola affatto.

- Hai presente quelle donne che stanno con un uomo soltanto perché è ricco? Non che le biasimi eh, per carità, al massimo puoi accusarle di non essere romantiche. Ma quegli uomini però...c'è soltanto da augurarsi che non siano troppo gelosi.

- Uno dovrebbe scrivere solo quando ha qualcosa da dire, non per ricordare al mondo che esiste.

- Molti di quelli che non ti disturberebbero se stai scrivendo un sms, mangiando, chiacchierando o parlando al telefono pensano invece che tu non abbia niente di importante da fare se stai leggendo. E pensare che invece è una delle attività più nobili.

Potete leggere gli altri pensieri qui

lunedì 13 giugno 2011

Lettera a un ladro - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di walkinginspace pt2 (CC)
Caro ladro,
ladro sconosciuto. Mi riferisco alla professione, non all'insulto, chiaramente. Nonostante la scoperta di essere stati derubati di sessanta euro possa spingere ad abbandonarsi al piacere orgasmico che solo gli insulti sanno infondere - insulti scagliati all'indirizzo di un bersaglio sconosciuto e per questo facile da colpire senza complicazioni di coscienza - se uno ci pensa più attentamente si accorgerà che non ne vale la pena. 
In passato sono già stato vaccinato contro la rabbia e lo shock indotti dai furti. Mi sono state rubate molte cose: denaro in valute varie, traveler's cheque, i dati della carta di credito, macchine fotografiche, un'auto (non mia), biciclette, telefoni cellulari. Puoi chiamarmi ingenuo, sbadato, vulnerabile. Magari hai ragione, io però dico che sono semplicemente uno che si espone al rischio. E' il modo in cui vivo la mia vita, una sorta di comandamento istintivo: non rinunciare a una curiosità, un'emozione, un'esperienza, un piacere solo perché potrebbe succedere qualcosa.  E se adotti questo approccio troppo spesso, o quasi sempre, prima o poi qualcosa succederà davvero.
Non sono ricco e non posso permettermi di perdere una somma del genere un giorno sì e uno no liquidando il fatto con una risata. Ma non sono nemmeno povero e mi riprenderò, anzi l'ho già fatto. Penserò a qualcosa dello stesso valore a cui dovrò rinunciare, ma sarà solo per finta, dal momento che non conduco una vita lussuosa e non c'è nulla di cui ho bisogno di fare a meno.
Ma tu, oh sì, proprio tu, hai fatto davvero una mossa sconsiderata. Decisamente abile, non c'è che dire, visto che sei riuscito a infilare due dita nella mia tasca, sfilare tutte le banconote da dieci e cinquanta ringgit che c'erano dentro, lasciandomi quelle di taglio più basso - come se volessi sfoggiare la tua maestria e sbeffeggiarmi allo stesso tempo - il tutto senza che io mi accorgessi di nulla. Certo, la folla che mi stava accalcata addosso in quel locale ha reso l'operazione più facile, ma si è trattato comunque di un notevole gioco di prestigio. 
Quanto sconsiderato tuttavia, come dicevo poco fa, visto che il karma negativo che ti sei tirato addosso ti inseguirà fino a che non ti avrà fatto pagare il conto. E avendo tu rubato sessanta euro si tratterà di sessanta cose qualsiasi che ti possono essere sottratte o affibbiate: giorni di vita - o forse mesi? - delusioni, momenti di tristezza, pene d'amore...chi lo sa, il karma è inevitabile, il suo esito scontato, ma le sue vie sono imprevedibili.
Come dici? Non sei né buddhista né indù e quindi le faccende di karma non ti riguardano? Oh ma non funziona mica così: il karma potrà non interessare a te ma tu di sicuro interessi al karma. Guarda me per esempio, nemmeno io sono un fedele di quelle religioni eppure proprio in un posto così, dove normalmente non mi si fila quasi nessuno, questa bella ragazza, alta ed elegante si sta avvicinando per consolarmi, e mi sorride, e aspetta che le dica qualcosa, qualcosa che, ovviamente, io non dico, perché spesso mi comporto così, perdo delle occasioni convinto che comunque ce ne saranno altre, anche se non c'è alcuna prova che puntelli questa labile convinzione se non il fatto che alla fine c'è sempre stata un'altra opportunità, fino ad ora, almeno, ce n'è sempre stata un'altra. 
E infatti guarda quest'altra ragazza, certo non sarà alta come l'altra - che uno sciocco amico geloso dopo essersi accorto delle sue mosse sta trascinando via - ma è graziosa, carina e minuta. Sta chiacchierando con quel giovane olandese che ho conosciuto poco fa ma appena mi vede si blocca, sta dicendo qualcosa, le leggo il labiale e sta dicendo ti conosco, ma io non l'ho mai vista prima e faccio un passo indietro e mi nascondo dietro una colonna perché oltre a essere incline a lasciarmi sfuggire le botte di fortuna sono anche succube di questo genere di comportamenti infantili, e lei si muove e continua a fissarmi e quando leggo di nuovo sulle sue labbra quella frase che mi inchioda sul posto - per curiosità o timidezza o entrambe - lei sta già camminando verso di me. Mi sta proprio davanti ora e mi dice ti chiami Fabio, che in effetti è il mio nome, non un nome comune a Kuala Lumpur, tra l'altro. Ma chi è, a che luogo, persona o evento la posso associare, scorro velocemente una lista mentale incasinata ma non vi trovo nulla, non conosco molta gente in questa città e di quelli che conosco di solito ricordo i volti. Sono thailandese, mi sta dicendo adesso, e questo ha senso perché conosco più gente a Bangkok che qui ma lei non è comunque una di loro. Dice che sono italiano, altra cosa che non dovrebbe essere lei a dire a me ma io a lei visto che è la prima volta che ci incontriamo, di questo sono sicuro, e poi elenca i posti in cui mi ha visto e sono tutti posti in cui sono stato qualche volta. Alla fine deve andarsene ma mi ripiomba addosso fuori dal locale, viene a salutarmi e a dirmi ci vediamo a Bangkok. Mi lascia interdetto, avrei dovuto dirle qualcosa di spiritoso ma se n'è già andata. Per fortuna non mi ha salutato con quell'espressione che alcune thailandesi utilizzano per farti ridere anche se non mi ha mai strappato un sorriso dalle labbra, see you when you see me, una battuta davvero priva di potenza.
Beh, giovane ladro, ti sei convinto adesso? Non credi nel karma? Ma lui crede in te, e in quello che hai fatto. Faresti meglio a cominciare a pensare alle cose che possono accaderti sessanta volte, o forse duecentocinquanta, visto che in valuta locale quella è la cifra che mi hai sottratto con tanta destrezza dalla tasca. Puoi scappare, ti puoi nascondere, puoi ignorarlo, puoi scherzarci su, ma prima o poi il karma ti trova sempre.

Buona fortuna e cordiali saluti,
la tua vittima, nonché salvadanaio occasionale.
F.P.

martedì 7 giugno 2011

Un minimo di privacy - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di Laurent Lavì Lazzeresky (CC)
Nello stesso tratto di strada in cui mi sono goduto l'incidente che ha coinvolto la donna-sacco-di-patate, solo pochi metri più in là e più o meno alla stessa ora mi capita di assistere a una scena ancor più pittoresca, ancorché priva del ritmo d'azione che aveva caratterizzato la precedente.
Sono arrivato all'altezza dell'Avenue K, un edificio fighetto che devo attraversare per arrivare al sottopassaggio delle Torri Petronas. Devo decidere se utilizzare la prima entrata (pro: 100 metri di aria condizionata supplementari; contro: l'androne soffre di un'atmosfera asettica, un po' desolata, vagamente cupa) o quella successiva (pro: superba vista della KL skyline, sfaccettature sociali da crogiolo etnico, siparietti squisiti; contro: un'afa che se hai le cataratte ti ci si forma la condensa sotto). Di solito scelgo la seconda, camminando lentamente per non sudare troppo, ma oggi opto per la prima perché voglio dare un'occhiata a un negozio che...
"Hey!"
Chi ha urlato? Non vedo nessuno.
"Hey! Hey!"
Ah, ecco, è una guardia giurata, è sbucata da dietro una colonna e cammina con velocità inusuale verso il piccolo giardinetto che separa il palazzo dal marciapiedi. Seguendo la sua traiettoria faccio scorrere lo sguardo di una ventina di metri in avanti e...ah, ecco cosa c'è! Anzi: chi c'è! Una specie di uomo di Cro-magnon con una zazzera nero-grigia vagamente riccioluta raccolta in tre o quattro spessi dreadlock - formatisi quasi di sicuro in maniera accidentale dopo anni di vita trascorsa all'addiaccio dai tempi dell'ultimo shampoo - sta acquattato sopra il prato all'inglese appena falciato, vicino a un rubinetto aperto che gli fa schizzare dell'acqua sui piedi (il che sarebbe un'ottima notizia se non fosse per lo strato di unto impermeabile che fa rimbalzare le goccioline senza che nemmeno una particella di liquido purificatore faccia presa sulla pelle).
Una piccola siepe lo protegge dallo sguardo dei passanti ma non da quello scandalizzato della guardia, la quale decide di non prendere in considerazione le ottime proprietà fertilizzanti della generosa dose di materiale organico che l'uomo sta scaricando sul terreno e lo esorta senza esitazione ad allontanarsi. L'altro, che sta proprio nel mezzo dell'operazione di evacuazione delle budella, non ci pensa nemmeno ad alzarsi, conscio del pasticcio che ne deriverebbe. Sarà anche un povero senzatetto ma il piacere di una defecatio in santa pace, almeno una volta al giorno, qualunque sia il dio a cui crede il suo persecutore dovrebbe concederla pure a lui.
La guardia però non ci sta proprio. Continuando a gridare si avvicina al luogo dell'oltraggio, con aria minacciosa, fino a fermarsi a ridosso di un muretto, cauto, titubante, come se avesse identificato in quell'ostacolo il perimetro di un cerchio di sicurezza tracciato attorno alla sorgente del fetore che forse ha cominciato ad avvertire. Pur senza completare la manovra di avvicinamento riesce a mettere fretta all'intruso, il quale fa comparire una bottiglia di plastica e ne svuota con cura il contenuto sulla sua mano per lubrificare il movimento di frizione con il quale sta ripulendo l'area del corpo testé contaminata.
Poi si alza e fa una cosa che non mi aspettavo: non se ne va, anzi si volta, con un passetto esce dal giardinetto e si ferma sul marciapiedi, in territorio neutrale. Quindi gonfiando il petto rivolge alla guardia uno sguardo di sfida, quasi minaccioso, un'occhiata di rimprovero all'indirizzo di chi ha violato la sua privacy in un momento così delicato. Forse viene qui ogni giorno, alla stessa ora, e non si capacita di questo cambiamento di scenario, da cui l'indignazione che non riesce a contenere.
La guardia sembra accusare il colpo, ammutolendo, il vigore infuso dal suo senso del dovere si affievolisce, inquinato da una dose di dubbio, mentre una specie di timore per questo imprevisto moto d'orgoglio sembra essersi alleato con la puzza che lo tiene a debita distanza. Ma è un'impasse che dura poco, perché quasi immediatamente si riprende e vincendo timore e ribrezzo spicca un salto sul muretto. Allora l'altro capisce che è arrivato il momento di andarsene, lasciandosi dietro soltanto quel ricordo puzzolente.
Si volta, non scappa ma si avvia velocemente, scalzo, a torso nudo e con un paio di pantaloni di tela leggera, o meglio una blanda idea di pantaloni, perché sulla gamba destra svolazza soltanto un lembo di stoffa che copre un settore di coscia e di polpaccio, lasciando completamente scoperta la natica. Trasporta due sacchetti di plastica che probabilmente ammontano - assieme ai brandelli di pantaloni - a tutto ciò che possiede.
Un paio di giorni più tardi, di prima mattina, lo scorgerò dalla strada in piedi sullo stesso posto, solo il busto che sporge sopra il profilo della siepe, mentre riempie la solita bottiglia al rubinetto e poi la usa per farsi una doccia rustica, come in quest'area del mondo si usava fare fino a pochi decenni fa nei fiumi e nei laghi.
Si muove con energia e proposito ma senza fretta, mentre i dreadlock casuali gli ondeggiano sulla testa. Non ci sono in giro guardie né polizia, qualcuno lo osserva ma nessuno lo disturba. In fondo questo è pur sempre il suo bagno, un luogo che richiede un minimo di privacy.