venerdì 30 ottobre 2009

Let's go South Indian! - Kuala Lumpur, Malesia

Incrocio Vijay davanti all'ascensore. Sta andando a Masjid India, al suo ristorante preferito, dove servono autentiche pietanze sud indiane. Vijay è un mio collega al centro di formazione. Viene da una città dell'Andhra Pradesh, sulla costa orientale dell'India del sud. Come molti altri asiatici che mi è capitato di incontrare è conservatore e schizzinoso in tema di cucina.

Io al contrario mangio di tutto, a meno che non sia una schifezza conclamata o una piantagione di peperoncino che si spaccia per minestra. “Can I join you?” gli chiedo. “Of course, Mr Fabio!”. E lo seguo in metropolitana fino a Little India.

Entriamo nel locale e ci laviamo le mani. Bisogna concentrarsi soprattutto sulla destra, quella che si usa per toccare il cibo – la sinistra è utilizzata alcune ore più tardi, durante l'ultima fase del ciclo digestivo. È evidente il motivo per cui non vanno invertite. 

venerdì 2 ottobre 2009

Sweating the food away - Bangkok, Thailandia

Eccolo qui, già lo sento che arriva. Sale lentamente da sotto il cranio, come una cupola di aghi che vuole uscire dalla testa. Chiacchiero un altro po', assaggio l'insalata di calamari, intingo un gambero in quella salsa sospetta, poi lo faccio sgocciolare e me lo infilo in bocca. Dopo dieci minuti il mio aspetto è cambiato: i capelli inzuppati, gli zigomi madidi mentre gli occhi lucidi galleggiano nei laghetti che goccia dopo goccia mi hanno inondato le orbite. Perline salate, come lumache trasparenti, mi scorrono sulla gola con passo impercettibile, lasciandosi dietro delle scie scintillanti.

Sono almeno dieci anni che mi alleno duramente: laksa fumanti, masala speziati, hot pot bollenti e tom yam incandescenti. Non c'è nulla da fare: il mio corpo, la mia testa, non ci si abitueranno mai e reagiranno sempre così.

“Quando dicevi che il cibo piccante ti fa sudare non scherzavi eh?”
Tra due cucchiaiate di riso saltato Roberto riesce a stento a smorzare una risata. Mi passo titubante una mano tra i capelli e per asciugarmi il sudore uso quattro salviette. Le ragazze si fanno una rispettosa risatina. Nemmeno una goccia o una venetta di sudore brilla sulla loro pelle vellutata.

Li distraggo con battute in thailandese maccheronico: “Ah vedi, sta cominciando a piovere e la mia sedia sta fuori dal raggio dell'ombrello”
“Hey, qualcuno ha per caso una bottiglietta di shampo?”
“Ecco, un altro scemo che tira gavettoni fuori stagione”
Saranno le battute o il modo in cui mi esprimo: ridono e si dimenticano il mio look da dopo-doccia.

Sono un po' irritato per la quantità di sudore che la mia testa ha secreto in meno di mezzora. Vorrei dire al mio corpo che sta proprio esagerando. Ho studiato fisica e non posso non stupirmi per questa sua capacità contro le leggi della scienza di trasformare ogni grano di peperoncino in cucchiaiate di liquido che mi sgorgano dai pori. Il misterioso processo ricorda vagamente alcuni dei piatti preparati da mia madre. Devono essere mangiati con estrema cautela, dopo almeno mezzora che sono stati estratti dal forno, quando ormai la temperatura è scesa di qualche grado al di sotto del punto di fusione del piombo

Il problema è che
alla fine amo questo cibo. E anche se non mi diverto ad ustionarmi le papille, mi piace comunque sentire in bocca quell'effetto. Se poi dovrò passare tutta la serata raccontando barzellette in thai o in cinese e innalzando sul tavolo un obelisco di salviette...beh, alla fine è un prezzo equo da pagare.

Foto Luis Armstrong, di Hermann Hiller, da New York World-Telegram and the Sun Newspaper photograph collection, 1953 (PD)

giovedì 1 ottobre 2009

Soltanto una smorfia di fatica - Bangkok, Thailandia

Scendo dalla BTS a Saphan Thaksin, mi fermo alle bancarelle, compro riso e spiedini, dei cubetti di tofu e una bottiglietta di te, poi svolto a destra ad un grande incrocio. Cammino su un marciapiedi insolitamente spazioso, tirando e masticando gli ultimi pezzi di carne quando noto una scena che mi inchioda sul posto.

Un vecchietto curvo mi cammina incontro, spingendo un enorme carrello della spesa. Questa non è affatto una scena atipica, ma c'è qualcosa che cattura la mia attenzione. Una delle ruote è incastrata in una crepa e il vecchietto spinge ma non riesce a sbloccarla. La testa e le spalle si allungano in avanti, le ginocchia si abbassano e le gambe tremano, ma non c'è nulla da fare, il carrello non si muove. Il foro nel suolo che ha fermato il carrello è una cosa da nulla, che quasi non si vede: ma è proprio guardandolo che mi rendo conto di quanto sia debole questo vecchietto.