domenica 28 settembre 2003

Il barbone colto - Kuala Lumpur, Malesia


Resto quasi tutto il giorno in albergo ma in serata esco per una passeggiata.
Cammino lungo le strade di chinatown, do un'occhiata agli edifici coloniali, simili nella forma a quelli di Singapore ma senza quella patina di nuovo che in quella città fa sembrare tutto finto. Voglio visitare Masjid Jamek, la più importante moschea in città. All'altezza del palazzo della corte suprema - illuminato come un albero di natale - vengo affiancato da un signore dal passo talmente veloce che quasi finisce addosso alle transenne che fiancheggiano il marciapiede.
Quando mi volto per osservarlo mi chiede che ne penso del palazzo. Andava di fretta per acciuffarmi e la domanda è soltanto una scusa per fermarmi.
"Non mi piace l'illuminazione, è un bell'edificio ma lo preferisco al naturale."
"Lo sai che è la sede della corte suprema? Vi si decretano le sentenze a morte."
Non so se sia esatto quel che dice. Comunque ora ne sono sicuro. E' un pretesto per attaccare conversazione. Si dimostra subito critico nei confronti dello stato e in particolare della sua componente islamica. Strano...dall'aspetto mi era sembrato malay, quindi musulmano egli stesso.
Ha la pelle ambrata e increspata sul viso magro. Il profilo è come un piano inclinato con il naso che segue l'angolo della fronte e il mento sporgente. Quando apre la bocca spuntano solo tre o quattro denti.
Gerald John Baptist non fa parte della maggioranza musulmana: è un eurasiatico, di discendenza in parte malay e in parte britannica. E' cristiano e da qui, a suo modo di vedere, nascono tutti i suoi problemi. La madre lavorò duramente per pagargli gli studi fino alla fine della scuola superiore. Al termine dell'ultimo anno si presentò a casa sventolando l'ottima pagella: su quattro materie aveva ottenuto tre A - il voto d'eccellenza - e una B. Per ottenere una sovvenzione statale per le spese universitarie bastava molto meno.
La madre lo sorprese con una risposta che lui giudicò ingenua: "Non capisci? E' finita! Non troveremo mai i soldi per l'università!"
"Sei un'idiota?" esplose con tutta la sua indignazione "Con questi voti ho diritto automatico ad una borsa di studio!".
Il giorno dopo presentò la sua domanda all'ufficio competente. Tre mesi dopo - non avendo ancora ricevuto una risposta - si ripresentò davanti all'addetto chiedendo informazioni.
"Se non ti è arrivata una risposta...significa che la tua domanda è stata respinta..."
Tornò a casa dalla madre e, in lacrime, le chiese scusa per averla offesa e per non averle creduto. Le borse erano state assegnate a richiedenti malay-musulmani che avevano ottenuto punteggi inferiori ai suoi agli esami di maturità. E lo stesso accadde con la maggior parte dei lavori buoni per cui - da allora in poi - fece domanda.
Gerald è un gran narratore. Il suo inglese è corretto e forbito. Sa accelerare e rallentare il ritmo della narrazione a seconda del frangente della storia e dell'emozione che vuole trasmettere. La storia si tinge di toni melodrammatici quando - descrivendo i momenti più toccanti - la voce gli si alza di tono e si rompe quasi come se stesse per scoppiare a piangere. Ma la commozione non dura più di un attimo e Gerald riparte con più rabbia di prima.
Da lungo tempo vive senza una casa. Un amico - l'ultimo che ha avuto, un ragazzo di 27 anni che stava nella stessa sua situazione - un giorno sparì. Dopo un paio di settimane, quando lui già l'aveva cercato alla polizia e negli ospedali di tutta la città, il suo amico ricomparve più sano e contento che mai: si era convertito all'Islam. Quando gli promise che l'avrebbe messo in contatto con i suoi convertitori, Gerald si infuriò...per niente al mondo si farebbe musulmano.
L'unica via di salvezza in cui ancora crede è una "fuga" a Singapore, paese in cui - secondo lui - ci sono meno discriminazioni e in cui i cristiani dell'Esercito della Salvezza si prenderebbero cura di lui.
"Mi laverebbero, mi vestirebbero e mi darebbero da mangiare."
Purtroppo per ottenere il passaporto occorrono molti soldi. Gli dico che a Singapore ci sono stato e che a me non è sembrata una società migliore di quella malesiana. Lì l'accattonaggio e l'elemosina sono formalmente proibiti ma questo non significa che non ci siano i poveri e gli emarginati, e che essi vengano trattati come degli ospiti d'onore. A Singapore i malay e gli indiani si lamentano per i privilegi accordati ai cinesi.
Il governo malesiano non si diverte a tenere prigionieri quelli come lui. Se potesse risolvere il problema scaricando la patata bollente ai "cugini" lo farebbe. Ma non credo che in quell'isola asettica vedano di buon occhio una soluzione di questo tipo.
Gerald non sente ragioni, Singapore è il paradiso che lui cerca. A confermare questa tesi è lui stesso quando mi racconta come - quando la città si prepara ad entrare in scena sotto la luce dei riflettori internazionali - le autorità cercano di sbarazzarsi dell'imbarazzante "fardello" e di "nasconderlo" altrove.
Kuala Lumpur si sta avvicinando ad uno di quegli appuntamenti: a metà del prossimo mese la capitale malesiana ospiterà nel palazzo dei convegni di Putrajaya il summit dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC). Sceicchi, presidenti, sultani provenienti da tutto il mondo islamico nonché i media internazionali convergeranno sulla città che per l'occasione dovrà sembrare un modello di pulizia. Le forze dell'ordine quindi setacceranno le vie del centro e le ripuliranno da qualunque soggetto che possa "rovinare" l'immagine della capitale.
Quelli come Gerald verranno caricati all'interno di un camion, portati a parecchi chilometri di distanza e verrà quindi loro intimato di tenersi a "debita distanza". Al mio amico è già successo una ventina di volte. I senzatetto musulmani possono sempre cercare ospitalità in una moschea. Come prova della fede questi "disperati" devono mostrare la carta d'identità che - oltre alle informazioni ordinarie - contiene anche l'indicazione della religione - un marchio a fuoco che qui pesa parecchio. Per chi non è un seguace di Maometto la casella è riempita con un paio di trattini (--). Nel modulo per la richiesta del documento Gerald indicò 'CRISTIANO CATTOLICO' con grandi caratteri in stampatello, ma le autorità non considerano valida qualsiasi entrata diversa da 'ISLAM'.
"E perché non chiedi ospitalità in chiesa?" Sorride con sarcasmo.
"Le chiese hanno chiuso le loro porte da quando alcune di esse hanno subito tentativi di incendio. E il governo ha puntato il dito sugli sbandati e sui tossico dipendenti. Ma andiamo! Lo sappiamo tutti che i colpevoli sono gli estremisti islamici! I drogati in chiesa al massimo rubano, perché dovrebbero appiccare incendi?"
Non insisto: sembra infatti intenzionato a difendere le chiese locali così come difende Singapore. La vera carta d'identità - o meglio il lasciapassare - di Gerald è invece una rispettabile borsa nera che si porta dietro - piena di cianfrusaglie senza valore - per ingannare le apparenze dando l'impressione di essere un "cittadino rispettabile" che va al lavoro.
Scoppio in una sincera risata al termine della spiegazione di questo trucco geniale da film del neorealismo italiano. Ride con me ma subito dopo, con la grande arte di pilota delle emozioni che fa di lui un ottimo oratore, passa al racconto della drammatica vicenda che lo costrinse ad aguzzare l'ingegno e ad escogitare quella geniale trovata.
Un giorno fu fermato dalla polizia mentre passeggiava innocentemente in una via del centro. L'agente, insospettito dal suo aspetto e, forse, anche dal suo odore, gli chiese chi fosse e dove abitasse. Gerald non rispose e, un paio d'ore più tardi, si trovò in una cella a fare compagnia ad un indiano che gli confidò di essere lì per aver sterminato la sua famiglia. Poco dopo, da un altra cella, un altro recluso lo invitò ad abbassarsi i pantaloni. Quindi Gerald, con la voce di nuovo rotta dall'emozione, mi racconta di aver cominciato a pregare, e di essere quindi caduto in una sorta di trance da cui si risvegliò - senza ricordare nulla di quel terribile frangente - quando già stava fuori.
Ma Gerald nella sua vita sostiene di averne subite molte, e ha altre cartucce da sparare. Un giorno si presentò all'entrata di un ristorantino cinese e, con gli ultimi 3 ringgit che gli restavano in tasca, chiese qualcosa da mangiare. Sapeva che le pietanze più economiche costavano 5 ringgit ma sperava, essendo il ristorante in chiusura, di ricevere qualcosa che sarebbe stato altrimenti gettato.
"In questo locale non vendiamo cibo per cani..." gli rispose il rozzo cinese.
Gerald racconta di non averci più visto dalla rabbia, di aver afferrato il coltellaccio da cucina che stava piantato sul tagliere davanti a lui e di averlo sventolato in faccia allo zoticone. In quel momento un cameriere intervenne provvidenzialmente e lo mise fuori gioco colpendolo sulla schiena con una sedia. Porta ancora riconoscenza a quell'uomo che gli impedì di commettere un crimine della cui sola eventualità si vergogna tuttora.
Tramite dei giornali che pesca nei bidoni della spazzatura si tiene al corrente sulla situazione locale e internazionale. Interessante è la sua versione del caso Anwar. L'ex vice primo ministro nel '98 era ansiosissimo di fare le scarpe a Mahatir e cercò di attirarlo in una trappola mettendogli contro membri del partito e opinione pubblica.
Secondo Gerald, Anwar, che era al tempo anche ministro delle finanze, al fine di destabilizzare il paese stava cercando di alzare il costo del denaro a livelli proibitivi per gli investitori e di fare in modo che il Fondo monetario internazionale intervenisse con dei prestiti forzando in cambio il governo ad orientarsi verso una politica più trasparente e democratica.
Anwar sperava così di creare disordine nel partito e nelle piazze, forzando Mahatir al ritiro. Il cambio al vertice sarebbe stata la rovina del paese che sarebbe stato svenduto agli americani che potevano ricattare Anwar con le prove dei suoi peccati di sodomia - gravissimi agli occhi dei musulmani - commessi durante una sua visita negli USA.
Per "fortuna del paese" anche il premier Mahatir era in possesso di prove di quello e di altri reati e, non appena fiutato il pericolo, fece venire alla luce un dossier Anwar che mise in moto l'ISA e la macchina giudiziaria.
Non male come analisi per uno che non ha nemmeno i soldi per comprarsi un giornale.
Gli chiedo dove dorme e mi accompagna in una discesa che si infila sotto la Piazza dell'Indipendenza. C'è una piccola siepe. Lui estrae dei fogli di cartone e li stende sopra al muretto formando un "materasso", poi piega una tela e ricava una specie di guanciale.
Mi confida che uno dei problemi più fastidiosi glielo creano le zanzare. Ha capito che me ne sto per andare, e quindi passa all'ultimo atto del suo spettacolo: il giro in platea col cappello in mano.
Dalla borsa estrae delle mappe della città e del paese su cui ha annotato in inglese delle utili informazioni supplementari. Per suggerirmi il limite minimo dell'offerta si affretta a farmi sapere che qualche straniero si è "incredibilmente" rifiutato di pagargli il prezzo stabilito di 10-15 ringgit, circa 3 euro. Parecchio, considerando che le mappe sono distribuite gratuitamente dal ministero del turismo e - soprattutto - che in Asia chi fa l'elemosina accetta con un sorriso un decimo di quella somma, se non meno.
Ma non importa. Le sue storie, vere o no, esagerate o rigorosamente attinenti ai fatti, mi hanno intrattenuto per un'ora o più. Gli allungo una mancia, vi aggiungo una boccetta di lozione anti-insetti che avevo nella borsa e lo saluto.
Gerald mi benedice e mi augura la buona notte.


1 commento:

Anonimo ha detto...
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