venerdì 29 ottobre 2004

Lauren Dalrymple: la dea nera di Brixton - di William Stabile

Questo articolo é frutto della stupiditá umana.
E´ stato riscritto, e si presenta quindi non nella forma originaria.
Dopo un mese di lavoro e molti giorni di pensieri, lo scrittore, con un semplice gesto del dito, lo ha cancellato.
La morte, che sia delle cose o degli uomini, é sempre la cosa piú facile e veloce che possa esistere.
E´ stato perduto qualche giorno prima di essere pubblicato. Mi convinco nel tempo che uno scrittore serio dovrebbe oggi, come in passato, solo scrivere su carta e con la sola penna. Nient’altro.
Ció dovrebbe avvenire almeno nella prima stesura di ogni cosa che produce, o almeno di quelle che ritiene siano buone.
Purtroppo anch’ egli é un debole. E´vittima dei tempi moderni dove ci si affida in tutto alle macchine.
E quando continua a essere una persona superficiale, é pieno di sé e non é umile di fronte alla pagina bianca, allora ne paga lo scotto.
Perdonalo Lauren per il ritardo. Perdonalo!
Egli ama la tua voce e tutto ció che gli dá .
Ha dovuto riscriverlo, e con i tempi che corrono, é da molto che ha deciso che i suoi tempi sono lunghi e lenti, e diversi da quelli che gli impongono.
Da oggi in poi sá che di ogni cosa che scriverá e riterrá importante ne fará sempre una copia.
 
Questo articolo é dedicato col cuore a Lauren Dalrymple: la dea nera di Brixton.
All’ Effra Bar e tutto ció che ha saputo darci.
A Mr. Robert´´ fingers´´ Mitchell, al talento delle sue dita millepiedi; parti involontarie della storia della scultura musicale contemporanea.

Location: Effra Bar, Brixton, London
Vox: Lauren Dalrymple
Keys: Robert ´´fingers´´ Mitchell
Writer: William Stabile

Quell’estate conoscemmo persone importanti e posti interessanti. Capimmo subito che quelle persone e quei posti avrebbero cambiato la nostra vita.

Non tornerá piú la voce corposa e calda nell’aria come acqua di Lauren Dalrymple. Essere li´, all’ Effra, sentire la sua voce, ci dava la sensazione che il nostro piccolo pezzo di vita, per un momento fosse parte del tutto.

Non torneranno piú le domeniche stesi a leggere sul letto, poi accucciarsi, e le gambe sul piumone che faceva ancora caldo. Domeniche passate alla finestra a guardare i treni fermi sui binari morti della stazione di Clapham Junction.

Non tornerá piú il profumo del sapone Cussons Imperial Leather che mettevamo nei cassetti cosi´ da impregnare i vestiti. Sognavamo di una casa e di lunghe giornate passate con splendide ragazze orientali.
Stesi sul letto, una mano gentile e dita lunghe e sottili ci accarezzavano la schiena per interminabili ore. Dalla casa in legno costruita sulla collina, attraverso la finestra l’uomo poteva vedere il Grande Fiume Giallo che scorreva lento.
Una pioggia sottile bagnava i campi di riso verde che dalla collina scendevano verso la riva fangosa del fiume. Poi l’ uomo attraversava i campi di riso e le sue gambe affondavano fino alle caviglie nel fango e, camminando, con la mano sfiorava le punte della pianta. Arrivato alla riva si puliva i sandali e i piedi dal fango e montava nella canoa per guadare il fiume.

Dovevamo fermare i sogni. Sapevamo che dovevamo svegliarci. Allora eravamo eccitati al solo pensiero che la sera saremmo andati all’Effra Bar.
Scendevamo nella strada e sentivamo il ferro dei piloni che sorreggevano la stazione di Clapham e quella sensazione che solo Clapham Junction poteva darci: dell’asfalto sulle spalle. Poi c’erano gli sguardi e i volti, interessati o indifferenti del tunnel della stazione.
Aspettavamo alla fermata del 35 per Brixton in una coda nera, disordinata, anticoloniale.
Arrivati all’incrocio di Brixton la nostra anima si amalgamava, fino a trasformarsi proprio come pensavamo dovesse essere; come doveva essere la vera vita: creola.
In contrasto con i rumori dell’incrocio di Brixton, c’era il silenzio nelle vie secondarie che conducevano all’Effra, con le case sui due lati della strada e le siepi sue due lati della via.
Ora eravamo all’Effra, e il silenzio dell’ esterno era la cornice perfetta per il suono degli strumenti che i musicisti stavano accordando. Sapevamo di dover arrivare in anticipo per prendere posto sulle panche nell’angolo, e poter sentire quell’ambiente caldo e familiare, e vedere Lauren che era li´ e si preparava alla session era giá una gioia che eliminava i non-sensi giornalieri.
Zigzagava tra gli strumenti con quel suo bicchierone americano Blood Donors, grande quanto lei, ed una cannuccia telescopica grande quanto un tubo, e ci chiedevamo quale bevanda magica potesse contenere.
Quando tutto era pronto, all’improvviso, come un’ombra che passa sotto un uscio, la musica iniziava, lenta, la sua voce iniziava sottile con qualche accenno di canzone, e poi andava alta...e ci metteva tutta la vita dentro. Tutta se stessa, fino ad arrivare a: please, have some mercy on me, have some mercy on my soul.
Ed era tutto ció che bastava per quella sera.
Mentre lei cantava e la musica andava e l’alcol faceva il suo lavoro, dandoci quella sensazione piacevole di potersi battere con tutti, non ci interessava cosa le persone al nostro fianco pensassero. Al diavolo!, che pensassero ció che volessero...
Avevamo visto la gente lasciarsi andare a strani movimenti del corpo e delle braccia mentre Lauren cantava. Ed era tutto giusto. Ci piaceva ció. Voleva dire che era una buona serata e che avevamo riempito gli spazi del nostro nada quotidiano.
Quelli che Lauren riempiva con la sua voce erano gli spazi piú giusti delle nostre vite che passavano aspettando le domeniche.
E di Mr. Rober ´´fingers´´ Mitchell, il virtuoso, che pensavamo?
Era cosi´ veloce con quelle sue benedette dita millepiedi sui tasti che ci sembrava diventare come la scultura che amavamo di piú: Forme uniche nella continuitá dello spazio.
Una scultura d’uomo viva e in movimento, con la sua testa calva e nera contro la parete rossa del bar.
Era un virtuso e lo sarebbe stato ancor di piú nel futuro. Noi lo sapevamo. Lauren lo sapeva. Ed é per questo che esigeva un giro di applausi per lui.

Lauren Dalrymlpe, la dea nera di Brixton, finiva sempre con la sua preghiera:
Please, have some mercy on me,
Please have some mercy on my soul.
Ed era la nostra preghiera. Per noi, per tutti. Per i nostri disgraziati fratelli dei Caraibi flagellati da un uragano indegno.

Pregavamo:
Ti prego, abbi pietá di me,
Ti prego, abbi pietá della mia anima.
La preghiera di Lauren. Al Cielo, sentita e cantata con passione.

Quando uscivamo dal locale ci sentivamo vuoti, proprio come quando si era ragazzi e la domenica era terminata e il giorno dopo si doveva andare a scuola e non ci volevamo andare.
Allora tornavamo a casa passando nella Falcon Road sotto il ponte della stazione, e in testa avevamo la sua voce e sentivamo la sua presenza; la sua grande anima negra.
C’era silenzio nella piazza dietro la stazione e non c’era nessuno, solo gli autisti dei bus appollaiati sugli sterzi, come falconi sul nido ad aspettare il proprio turno.

Londra, 29 ottobre 2004


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