mercoledì 18 novembre 2015

L'urlo di battaglia

A me questa sterile polemica motociclistica aveva stancato più o meno mezzo minuto dopo che era stata innescata. Per giorni mi sono limitato a far finta di niente, a voltare pagina, a cambiar canale. Questo però va oltre il limite del sopportabile. Più di tre settimane dopo il "fattaccio", o come diavolo lo chiamano quelli dell'ambiente, quando nel frattempo è successo di tutto, dagli avvenimenti normali che logorano o plasmano la società a poco a poco a quelli epocali che la rivoltano come un calzino, questi due bamboccioni dispettosi continuano senza vergogna il loro bisticcio irritante. Il loro ego alimentato dalle migliaia di pecoroni che partecipano al teatrino con i post su Facebook e le chiacchiere al bar, che ci hanno spappolato le palle per settimane sostenendo le ragioni di uno (in Italia) o dell'altro (in Spagna), come se non ci fosse nient'altro di cui parlare, di cui scandalizzarsi, su cui speculare. Una massa omogenea di impiegati, disoccupati, dirigenti, giornalisti, intellettuali: un incantesimo collettivo, un lavaggio del cervello generalizzato.
Quegli "appassionati" del mondo dei motori, molti dei quali, con snobismo inferiore solo a quello dei loro colleghi del rugby, hanno spesso puntato il dito sui "tifosi" del calcio, rei di stupidità, massificazione e infantilismo, indicando lo sport su cui convogliano la loro "passione" come l'esempio di purezza, correttezza e sportività. Senza accorgersi che col loro goffo tentativo di distinguersi dal popolo bue finiscono per posizionarcisi giusto nel mezzo.