venerdì 25 gennaio 2013

Reporter, ragazze e Facebook - Rangoon, Birmania

Un'altra foto dell'amico IZ
E' quasi ora di cena. Siamo in Birmania da pochi giorni e non siamo ancora stanchi di esplorare e facci sorprendere, magari anche soltanto da un mucchio di spazzatura sull'argine di un fiume. Vale anche per il cibo. Finora abbiamo messo alla prova le probabilità di beccarci un'intossicazione alimentare provando sempre localini diversi e per questa sera abbiamo già ristretto la scelta a un paio di ristorantini birmano-indiani. Ma abbiamo pranzato tardi e ci siamo pure fatti un dolcetto all'ora del tè: non abbiamo ancora l'appetito necessario a gustarci il pasto come si deve. Ci fermiamo per una aperitivo-birretta in un locale fighetto: nome in giapponese, menù in inglese, cibo internazionale, gente del posto coi soldi e qualche expat.
La birretta è quasi finita e stiamo pensando di andarcene quando il mio amico I e un birmano che ci siede davanti, entrambi muniti di macchina fotografica da professionisti, si guardano, si studiano, si intendono e poi cominciano a chiacchierare. All'inizio si tratta solo di tecnologia fotografica. Sto ad ascoltarli in impotente silenzio. Quando passano ad argomenti da generalisti afferro la fune che penzola dalla loro mongolfiera, mi alzo in volo e li raggiungo. Il birmano è un fotoreporter che lavora per un periodico in inglese del posto.
Per un'oretta si presta all'interrogatorio a cui lo sottoponiamo con il dovuto tatto e ci spiega che dopo le riforme dell'anno scorso la stampa è ad oggi praticamente libera. Se un paio d'anni fa ogni articolo doveva essere sottoposto al setaccio dei censori ora può essere pubblicato direttamente, a discrezione della redazione. Il mercato dei professionisti non ha ancora raggiunto livelli di eccellenza, se arriva un top-gun da 2000 dollari al giorno è costretto a ridimensionare le sue pretese o a cambiare posto. Ma nel complesso ci sono degli ottimi professionisti che scelgono il paese perché ci sono affezionati o per il grande interesse che sta suscitando dopo i recenti cambiamenti. 
Quando ci chiede di cosa ci occupiamo I è un po' restio a dirgli che lavora come cameraman per la TV: il tam-tam che si ode da decenni consiglia vivamente di non farne menzione nel modulo per la richiesta del visto. I membri della stampa internazionale non sono mai stati ben accetti in un paese dove la dittatura ha puntellato il suo potere col controllo dell'informazione in entrata e in uscita. Il birmano ci dice che ora non è più il caso di preoccuparsi. I visti vengono concessi un po' a tutti. Persino uno dei pezzi grossi del FCCT (Foreign Correspondents' Club of Thailand), da anni sulla lista nera del governo, è stato recentemente autorizzato a visitare il paese. E probabilmente i servizi segreti non si prendono nemmeno più la briga di mettere un tail alle calcagna dei potenziali ficcanaso. Il reporter ricorda ancora i tempi in cui circolava in città con la macchina fotografica per fare pratica e a ogni angolo incontrava lo stesso passante. Tempi andati, a sentire lui. A dire il vero a giudicare da quel poco che abbiamo provato a leggere a me sembra che tutti stiano ancora attenti a quello che pubblicano, some se da un controllo governativo si sia passati all'autocensura, ma speriamo che il suo ottimismo si riveli fondato. In effetti alcuni anni fa uno come lui non avrebbe nemmeno avuto il coraggio di iniziare una conversazione simile con due stranieri, specialmente in un luogo pubblico.
Il reporter passa poi a un altro argomento che ci interessa: il patrimonio architettonico coloniale. Da tre giorni giriamo tra i marciapiedi del centro guardando per aria come degli idioti, imbambolati dalle finestre, i cornicioni e le decorazioni di palazzi stupendi su cui gli strati di fuliggine fluttuano come veli di pashmina e le crepe sull'intonaco sono intriganti cicatrici. "Anch'io come voi credevo che il nostro patrimonio coloniale fosse tutto qui, poi sono andato a fare dei servizi in alcuni paesini sperduti e vi ho trovato dei gioielli che nulla hanno da invidiare a posti come Malacca in Malesia" (Il centro storico di Malacca, mix di architettura coloniale portoghese, olandese, inglese, edifici cinesi e luoghi di culto è oggi un curatissimo sito Patrimonio dell'Unesco). 
Ordiniamo un'altra birra e lasciamo perdere per una sera il nostro tour gastronomico, accontentandoci di due piatti di noodles senza pretese, per poter ascoltare quel che il reporter ha da aggiungere. Sfortunatamente per noi però, come ha già commentato lui più volte, anche la Birmania si va sviluppando in fretta: televisione via satellite, telefonia mobile, collegamenti internet. La donna a cui fa il filo da qualche settimana ha finalmente risposto a un suo messaggio in Facebook. Si attacca allo smartphone come un soldato in trincea alla foto della bella che lo aspetta a casa. Se ne staccherà solo per farci sapere che vorrebbe corteggiarla di persona ma per ora questo è tutto ciò che riesce a strapparle. "I know, it's not romantic, but..."
Finiamo i noodles e la birra e lo salutiamo. L'avessimo saputo prima saremmo andati a mangiare da un'altra parte, specialità più saporite, meno care e comunque - a giudicare dalla pulizia della cucina che bisogna attraversare per andare in bagno - dotate della stessa capacità di agganciarci al cesso per un paio di giorni. Ma Hemingway me l'ha insegnato tanto tempo fa: quando un marlin si attacca alla lenza fai di tutto per portarlo a riva, anche se sai che gli altri pesci se lo papperanno lasciandoti solo una lisca spolpata e scintillante.
E poi in un solo giorno abbiamo chiacchierato con un giovane fotoreporter birmano e un corrispondente americano giramondo in pensione che vuole viaggiare fino a quando creperà....tutto sommato la pesca poteva anche andarci peggio.

PS Avete osservato bene la foto? Titolo vagamente ispirato a ideali pacifisti e immagine di artiglieri che sparano colpi di mortaio in prima pagina...

5 commenti:

Elisabetta ha detto...

Sono stata in Birmania lo scorso ottobre e mi avevano colpita le fotografie di Aung San Suu Kyi un po'ovunque, anche sui telai delle tessitricidi sarong. Sono però restia a credere che ora sia stata concessa una così grande libertà di stampa. Riguardo all'intossicazione da cibo, devo dire che l'unico paese in cui sono stata sempre male di pancia, in tanti mesi di viaggio in quella zona, è stata la Birmania.

Fabio ha detto...

Sì sì, la foto ormai potrebbero anche usarla per fare una pubblicità dell'aranciata.
Senza dubbio in Birmania bisogna stare un po' attenti a quel che si mangia e beve...niente paranoie però, altrimenti uno si perde un sacco di cose buone.

Andrea da Bangkok ha detto...

Incontri interessanti... il bello di "perdersi"-nel senso di non dover seguire a tutti i costi un programma prestabilito comprese cene e bevute- in un paese che immagino stia cambiando alla velocità della luce... ora DEVO andare!

Fabio ha detto...

Io viaggio sempre così...un paio di idee vaghe in testa, flessibilità e improvvisazione

Fabio ha detto...

Andrea: credo si possa dire che comincerà presto a cambiare a velocità della luce. Ora, per lo meno agli occhi del visitatore, sembra ancora ben ancorato alle sue tradizioni...