giovedì 31 gennaio 2013

Dopo vari birboni, ecco un paio di signori - Mandalay, Birmania

Il treno per Hsipaw
Basandoci sui miei ricordi di dieci anni fa abbiamo deciso di viaggiare in treno da Mandalay a Thibaw (Hsipaw). Il tragitto è scomodissimo, lento e movimentato, su un convoglio di antichi vagoni dotati di panchine in legno che scorrono rimbalzando su binari a scartamento ridotto. Abbiamo già prenotato due moto-taxi che per una cifra irrisoria ci porteranno alla stazione alle tre e mezzo di notte. Mentre cerco delle guest house in internet mi imbatto in una pagina di informazioni sul viaggio. E mi rendo conto di aver sbagliato tutto. Quel che in realtà vogliamo fare è raggiungere su strada Maymyo (Pin oo Lwin), una tappa intermedia, visitare la cittadina e cominciare il viaggio in treno da lì. Il tratto che ci interessa, quello che comprende il viadotto Gokteik, si trova oltre quella località e così facendo ci risparmiamo varie ore di montagne russe. 

martedì 29 gennaio 2013

Internet in Birmania, accessibilità e libertà di navigazione

Teahouse a Mandalay con accesso internet gratuito
Quando ci venni per la prima volta, alla fine del 2002, entrare in internet era impossibile in tutta la Birmania. Il massimo a cui si poteva aspirare era mandare un'email, non dal proprio indirizzo ma da quello privato dei proprietari di un paio di negozi a Rangoon, e solo da lì.
All'inizio del 2013 la situazione è radicalmente diversa. Le aperture in tema di libertà di stampa e censura hanno coinvolto anche la rete. Ora nelle grandi città è possibile trovare un punto di accesso wifi praticamente in tutti gli hotel e caffè. A Mandalay e a Pagan mi è capitato addirittura di entrare in alcune teahouse (locali che a livello di sofisticazione si possono paragonare alle osterie italiane degli anni '50) che offrivano l'accesso wifi gratuito. Alcuni amici che vennero qui un paio d'anni fa mi dissero che i collegamenti erano terribilmente lenti. Ora anche quella barriera è stata abbattuta, perlomeno in parte e in certi posti. 
La nota più positiva tuttavia è relativa alla libertà di navigazione.

venerdì 25 gennaio 2013

Reporter, ragazze e Facebook - Rangoon, Birmania

Un'altra foto dell'amico IZ
E' quasi ora di cena. Siamo in Birmania da pochi giorni e non siamo ancora stanchi di esplorare e facci sorprendere, magari anche soltanto da un mucchio di spazzatura sull'argine di un fiume. Vale anche per il cibo. Finora abbiamo messo alla prova le probabilità di beccarci un'intossicazione alimentare provando sempre localini diversi e per questa sera abbiamo già ristretto la scelta a un paio di ristorantini birmano-indiani. Ma abbiamo pranzato tardi e ci siamo pure fatti un dolcetto all'ora del tè: non abbiamo ancora l'appetito necessario a gustarci il pasto come si deve. Ci fermiamo per una aperitivo-birretta in un locale fighetto: nome in giapponese, menù in inglese, cibo internazionale, gente del posto coi soldi e qualche expat.
La birretta è quasi finita e stiamo pensando di andarcene quando il mio amico I e un birmano che ci siede davanti, entrambi muniti di macchina fotografica da professionisti, si guardano, si studiano, si intendono e poi cominciano a chiacchierare. All'inizio si tratta solo di tecnologia fotografica. Sto ad ascoltarli in impotente silenzio. Quando passano ad argomenti da generalisti afferro la fune che penzola dalla loro mongolfiera, mi alzo in volo e li raggiungo. Il birmano è un fotoreporter che lavora per un periodico in inglese del posto.

lunedì 21 gennaio 2013

I bambini della slum dietro la stazione di Rangoon (Yangon), con galleria fotografica - Birmania

Bacio tra padre e figlio alla stazione centrale di Rangoon
La maggior parte dei monumenti e musei a pagamento non ci interessa: le tariffe d'ingresso sono spropositate e non si sa in tasca di chi vadano e per cosa vengano utilizzate. E poi per un occidentale non esperto in arte buddhista le pagode tendono a diventare tutte uguali. Ogni giorno in tarda mattinata usciamo, macchine fotografiche in mano, pranziamo e poi passeggiamo, con una vaga idea in testa per la prima mezzora, poi completamente a caso. Ci imbattiamo in angoli, scene, persone, palazzi curiosi, e i pomeriggi passano veloci. 
Dalla stazione imbocchiamo un vicolo, passiamo un cumulo di spazzatura dove banchettano due cani spelacchiati, procediamo tra due file di ristoranti, barbieri, tabaccai e teahouse di legno, strutture sempre più malmesse, giriamo a destra, attraversiamo un ponticello su un canaletto la cui acqua radioattiva scorre attorno a degli isolotti di rifiuti ed entriamo in una slum, o baraccopoli, bidonville, favela.
Gli adulti ci osservano curiosi, alcuni sorridono, altri no. I bambini si avvicinano con timidi passetti e poi, quando mostriamo loro le foto che abbiamo scattato, ci assalgono, si offrono per altre pose, portano degli amici o i fratellini piccoli per un servizio personalizzato, ci strattonano per vedersi nelle immagini e prendersi in giro. Hanno i vestiti sporchi e i capelli infestati, io che soffro di numerose dermatiti immaginarie sento già prurito, ma me lo fanno dimenticare in fretta. Cadono sulla terra battuta, le loro ciabatte scivolano sui canali di scolo, si impolverano, si imbrattano e ridono, imbarazzati o divertiti, chi lo sa. Qualcuno ci apre anche il cancello che dà sui binari, dove la gente bivacca e passeggia tra i treni che stanno fermi o procedono a passo d'uomo. C'è persino un pastore con tre capre. 
Ecco un po' di foto (sono state scattate con una macchina point&shoot e di fotografia ci capisco poco, ma credo che quel che conta siano i soggetti):

venerdì 18 gennaio 2013

Quel che un paese ti può dire nelle prime ore dopo il tuo arrivo - Rangoon, Birmania

Foto del mio amico IZ
Se non ti sei preparato troppo, ti lasci andare, hai la tendenza a vedere il lato divertente delle cose e magari sei in buona compagnia, quel che ti succede nelle prime ore ti può dire molto sul posto in cui sei appena arrivato. Vediamo...io non mi preparo MAI troppo, anzi a volte non mi preparo proprio, mi lascio spesso andare, mi concentro sugli aspetti divertenti di una situazione anche quando non dovrei e sono in viaggio con I, ottima compagnia direi. E infatti Rangoon (cioè Yangon), o la Birmania in genere, mi dicono molto in pochissime ore. E lo fanno subito, proprio la prima sera.
Abbiamo messo giù le valige nell'hotel che abbiamo prenotato online prima di imbarcarci a Bangkok (un'idea di I, che come viaggiatore è un po' meno cialtrone di me). Non siamo contenti: è carissimo, vecchio e pretenzioso, va bene per una notte, ne dobbiamo cercare immediatamente uno per domani. Abbiamo un nome senza indirizzo e un vago punto di riferimento. Informazioni che il tassista ci ha dato mentre ci portava dall'aeroporto all'hotel. Partiamo alla ricerca tra la rete di strade non illuminate di Rangoon.

martedì 15 gennaio 2013

Italiani in Thailandia/6: una storia di prostituzione molto bizzarra - Pattaya, Thailandia

Un dipinto appeso all'entrata di una guest house a Hua Hin
Mi è capitato di recente di ascoltare una storia di prostituzione davvero bizzarra. Proprio quando me ne stavo andando da Pattaya, la più grande fucina di racconti del genere, che nei vari mesi trascorsi lì me ne ha sfornati così tanti, così diversi e variopinti da farmi credere che non sarebbe più stato possibile sorprendermi. Eppure una storia come questa non l'avevo mai sentita.

Il protagonista anonimo, un puttaniere italiano in età avanzata che per l'appunto chiameremo PA, da Puttaniere-Anonimo, un bel giorno scende dalla stanza del suo albergo alla ricerca di ciò che i turisti della categoria a cui appartiene escono spesso a cercare quando sono da queste parti. Non è una missione tranquilla però, come qualcuno di noi potrebbe pensare. Non si tratta di far due passi, imbattersi nella prima delle migliaia di occasioni offerte dalla città e sbrigare la faccenda. No, PA è torturato dai dubbi, si arrovella per farsi venire un'idea che lo soddisfi. Rivolgersi a una delle mama-san che conosce? Procedure noiose, inutili rituali da celebrare, catene di approvvigionamento elaborate, numerosi ingranaggi da oliare, trattative da intessere, tutto molto caro e complesso. Le squillo free-lance del lungomare? Per carità, con le storie che circolano! Troppo rischioso. I massaggi erotici di Soi Honey? Mah, massaggi scadenti in squallidi tuguri che sfociano in rapporti affrettati con donne annoiate. Nemmeno quella soluzione va bene. Ci vuole qualcosa di originale, bisogna improvvisare utilizzando le condizioni al contorno, la fantasia e, perché no, l'audacia. Insomma: una coniglietta da tirar fuori dal cilindro.

sabato 12 gennaio 2013

Talk show all'italiana: il combattimento di galli...finti

Galli da combattimento a Bali, Indonesia, dell'amico Roberto TRM (CC)
Leggo i commenti da tifosi sull'ennesimo "dibattito politico" (hahaha) che ha inchiodato gli italiani davanti allo schermo e mi viene da ridere, poi da piangere, poi ancora da ridere, e così via...
"Hai visto, li ha distrutti un'altra volta!"
"Lo hanno massacrato!"
Io non l'ho guardato, per motivi che potrebbero sembrare ovvi (sto a diecimila km di distanza) ma non lo sono poi tanto: i combattimenti di galli finti non mi interessano. Perché dovrebbero poi, quando nel S.E.asiatico posso assistere a quelli dei galli veri, gli animali col becco, gli artigli e le penne, che fanno chicchirichì e non quaquaraquà?
Questi sono spettacoli di basso livello culturale, come una partita di calcio, uno strip o un balletto in un cabaret di serie b. Non c'è niente di male a guardarli, se non li confondi con la politica. 
Volete sapere chi ha vinto? Audience alle stelle, ricchi contratti pubblicitari, lauti compensi, giochi di potere: hanno vinto loro, tutti assieme intendo, e hanno perso gli spettatori, ma forse non è nemmeno vero, perché questi ultimi manco sapevano di essere in gara. Qualsiasi cosa sia successa è comunque successa di nuovo, e succederà ancora, potete starne certi.

giovedì 10 gennaio 2013

Posto che vai...sistema per lavarsi il culo che trovi - con galleria fotografica

Bidè fiorentino dell'amico LMB
Ho sentito spesso degli italiani lamentarsi per aver scoperto che in alcuni paesi i bagni sono privi di bidè, scoperta che ha instillato in loro un dubbio atroce...ma quelli non si lavano il culo dopo aver cagato?
Eh, purtroppo in alcuni paesi non lo fanno. Usano la carta, grattano, grattano, e poi gettano, gettano, fino a quando l'ultimo rettangolino bianco che hanno utilizzato non presenta più le classiche tracce a frenata marroni. Purtroppo alle volte hanno dovuto grattare talmente tanto che alla scomparsa dei residui di merda si è accompagnata l'apparizione sulla carta del rosso del sangue. La cute nella zona del corpo interessata all'operazione di levigatura è infatti piuttosto delicata.

A volte però l'assenza del bidè non significa necessariamente che in quel posto non ci si lavi il sedere prima di alzarsi dal cesso. Ecco appunto, sottolineo il prima. In Italia infatti per lavarci dobbiamo necessariamente alzarci, fare un paio di passi, girarci e sederci di nuovo, su una superficie di ceramica tra l'altro, che non essendo protetta dalla tavoletta di plastica in inverno può diventare fastidiosamente fredda. Il bidè in effetti non è necessariamente la soluzione migliore al problema del sedere smerdato.

lunedì 7 gennaio 2013

Italiani in Thailandia/5: i tipi loschi

Il buon vecchio Q è ritornato a Pattaya, dove resterà per sei mesi. La sua fidanzata aspetta un bimbo e lui vuole starle vicino. Lo incontro al percorso della collina del Big Buddha, dove vado a fare una corsetta ogni sera. Ha in serbo per me un'altra delle sue vecchie, agghiaccianti bombe.
Alcuni mesi fa, sempre a Pattaya, aveva incontrato un italiano, uno di quei disperati che si arrangiano in maniera poco chiara. All'apparenza però era un tipo simpatico, alla mano, onesto. All'apparenza, appunto. Noi, che possiamo usare il senno di poi, non lo chiameremo l'onesto, bensì il losco. Un giorno il losco insiste per accompagnare Q in albergo. Q non ha motivi per dirgli di no. Una volta in stanza il losco si guarda bene attorno, poi si ricorda di non essersi portato dietro del contante e gli chiede un piccolo prestito. Q non ci trova nulla di male, in fondo si tratta di quattro spiccioli. Il losco però lo osserva con insistenza quando va a recuperare la scatoletta in cui nasconde i soldi. Per ogni evenienza, ma con un po' di leggerezza, Q ha deciso di portarsi in Thailandia una somma ingente, alcune migliaia di euro, in contanti. Il losco fa dei commenti del tipo: "Ma perché tanta segretezza?" "Ah madonna, ora capisco, guarda quanti soldi c'hai!"

mercoledì 2 gennaio 2013

Chirurgia cosmetica: facce da manga...ma per davvero!

Lamù, un tempo soltanto personaggio dei cartoni, ora potreste anche incontrarla in una metropoli asiatica
Recentemente, parlando con un'amica malesiana, ho scoperto che tra le ragazze asiatiche si sta facendo strada una moda agghiacciante. Agghiacciante per me ovviamente: per loro sembra invece essere un'idea fantastica. 
Sto parlando di chirurgia plastica. Beh, sai che moda, direte voi, sono cose che si fanno da decenni. Certo, ma qui non si sta parlando di rassodare le tette, spingere in su le chiappe, gonfiarsi le labbra o rimuovere delle rughe. Tanto meno di cambiare sesso. Queste pratiche già mi rendono perplesso, ma ho scoperto c'è persino di peggio. I modelli che queste donne cercano di imitare sono personaggi dei cartoni animati giapponesi. Vi ricordate Candy Candy, Lady Oscar o Lamù? Scusate gli esempi datati ma per motivi generazionali non ne conosco di più recenti. Insomma, l'ideale di donna occidentale così come la immaginavano i giapponesi negli anni '70 o '80, con gli occhioni ovali grandi e colorati come un lago di montagna, il naso a taglierino, la bocca a forma di cuore e il mento modellato a plettro. Guardate qui, qui, qui e qui. Queste tre addirittura si sono fatte rifare tutte uguali...ora hanno la stessa faccia! Insomma, avete capito cosa intendo. Non si tratta cioè di apparire più giovani o sexy tramite rimozione delle rughe o upgrade delle labbra alla versione-pornostar - debolezze in parte comprensibili - bensì di assomigliare a un personaggio che non esiste, inventato da un disegnatore di manga.