giovedì 27 dicembre 2012

Adieu Pattayà!

L'insegna luminosa sulla collina che sovrasta Walking Street
E' arrivato il momento di lasciare Pattaya. L'amico italiano che lavora qui e che quest'anno mi ha ospitato spesso a casa sua è stato trasferito alla filiale cinese dell'azienda. Le operazioni di trasloco sono quasi finite, rimangono da sbrigare alcune pratiche per lo sdoganamento del cane e poi siamo a posto. Lui volerà a Shanghai, io rientrerò nella mia amata modalità semi-nomadica. Prevedo molti viaggi. Il più possibile via terra, l'unico modo per godersi ciò che c'è tra i luoghi A e B, oltre che gli stessi A e B.
Non mi posso lamentare troppo di questa città. L'ospitalità è stata ottima, la casa è stupenda. I ritmi di vita, le distanze, il traffico e anche il paesaggio sono più a misura d'uomo rispetto a quelli di Bangkok, tanto per fare un esempio. La spiaggia e l'acqua non sono un gran che, anzi, fanno piuttosto schifo, ma il mare è sempre il mare. Il tipo di turismo e di vita notturna, la prostituzione invasiva, la corruzione, il materialismo dilagante e l'atmosfera pesantemente losca lo fanno però diventare ben presto un posto insopportabile.
I'm fuckin' outta here. Come ho sentito dire a certi tizi che badavano più al modello di canottiera e bandana, alla visibilità del tatuaggio e del pettorale, alle treccine e all'inclinazione del berrettino che alla qualità di quel che usciva dalle loro bocche. 
Goodbye Pattaya! Di aneddoti bizzarri e spesso scabrosi me ne hai raccontati parecchi, e un amante di storie quale sono non può che essertene grato. Di sicuro però, almeno per un po', non credo proprio che mi mancherai.

PS Le storie raccapriccianti di Pattaya ho finito di ascoltarle, ma non di raccontarle. Ci saranno quindi altri post-umi sul tema

lunedì 24 dicembre 2012

Customer care-less - Thailandia

Questo è un altro post accusa. Lo pubblico a beneficio di chi ha avuto problemi simili a quello che ho avuto io. Ma anche per cercare di provocare un minimo danno di immagine all'azienda colpevole, affinché imparino la lezione e si comportino correttamente in futuro. Per chi non è interessato alla questione può risultare un po' noioso, saltatelo pure e passate al prossimo post del blog.

Questa volta il bersaglio è la catena di negozi IT City, specializzata in prodotti di informatica ed elettronica.
A loro favore devo premettere che si tratta probabilmente dei centri meglio forniti e coi prezzi più competitivi della Thailandia. Quando però ho avuto occasione di metterne alla prova l'atteggiamento verso i clienti che si presentano con qualche problema (il cosiddetto customer service o servizio post vendita) la bocciatura è stata inevitabile, immediata e assoluta. E non si tratta certo di un caso isolato: la serie di comportamenti e situazioni inaccettabili è stata troppo lunga e clamorosa per poter prendere qualsiasi tipo di attenuante in considerazione.
I fatti. La mia chiavetta internet iFox non funziona più. E' colpa mia, l'ho sottoposta a una serie di colpi e torsioni insostenibile, è saltato qualche contatto e il pc non la riconosce più. Peccato, la utilizzavo con un abbonamento 3G della AIS molto conveniente e non mi ha mai dato problemi. Ho anche provato a ripararla: per quel che era possibile ho persino peggiorato la situazione. Me ne vergogno un po', ma ho cercato di fare il mio dovere. La laurea in ingegneria imponeva il tentativo, il successo era auspicabile ma non scontato.

mercoledì 19 dicembre 2012

Come Rocky Balboa - Kuala Lumpur, Malesia

Ogni sera, dopo aver finito la lezione ed esser tornato in albergo, mi strappo di dosso le vesti da insegnante, mi infilo pantaloncini, maglietta sintetica, scarpe di gomma e scendo per una corsetta. Da Brickfields, nei pressi della stazione centrale di KL, a Bangsar, mezzoretta per le stradine di qualche quartiere residenziale. 
Anche i malesiani fanno esercizio, ovviamente, ma ho il sospetto che vadano in quelle palestre ad aria condizionata o che corrano altrove: qui infatti sono sempre l'unico che trotta. E a quelli che incrocio devo sembrare un occidentale un po' svitato o un atleta serio che si prepara per una competizione ufficiale (nel secondo dei casi probabilmente non hanno osservato attentamente il mio fisico...). Comunque sia devo apparire come uno a cui per qualche ragione si sorride, si rivolge la parola, va dimostrata in qualche modo simpatia. Il parcheggiatore abusivo ride e mi dice:" He he…running, running...yes, yes…" Le guardie giurate dei condomini di lusso mi salutano con un "Good evening, Sir!" E i passanti domandano, un po' retoricamente: "Going jogging, right?" Tutti sorridono, simpatizzano, incoraggiano. 
Io di solito parto per farmi i cavoli miei, correre, fare due stiramenti, due piegamenti e poi tornare in stanza, stanco e soddisfatto. Ma non ci riesco a far finta che tutto ciò non abbia alcun valore. Quindi rispondo, sorrido, saluto, e i loro approcci mi infondono energia. Non credevo di averne bisogno, ma quella loro umanità mi entra in circolo, mi tonifica, mi rinfresca, mi eccita. Accelero, alzo la testa, mi muovo con più fluidità. Mi sento quasi Rocky Balboa che si allena lungo i viali di Filadelfia, e quando la strada sale in collina è come se sprintassi sulla famosa scalinata, circondato dai ragazzini. E in cima potrei fermarmi, buttare in alto le braccia, saltare e urlare: "Avanti Apollo Creed! Sono qui, sono il tuo Stallone italiano, pronto per farti un culo quadro e strapparti quella cintura dorata di dosso!" 
Ma non lo faccio. Invece mi giro, torno indietro, comincio anche a sentirmi un po' stanco: quella salita, e soprattutto quella accelerata insensata si fanno sentire. Per fortuna la fisica non è un'opinione e quel che saliva al ritorno scende. Devo solo controllare le falcate e stare attento alle articolazioni.
Rocky Balboa un par di palle, ora mi sento più come Danny Devito, Benny Hill o Mr. Bean.
Però, che iniezione di adrenalina sono i sorrisi e le parole dolci degli sconosciuti, specialmente in un luogo alieno. Come una specie di doping, ma senza controindicazioni.

martedì 18 dicembre 2012

Scampagnata a Genting Highlands, con galleria fotografica - Malesia

Le cabine della funivia o, come le chiamano qui, gondole
Questo poteva essere uno di quei raccontini babbei in cui si descrive quel che si è fatto in un giorno libero. Ma se qui c'è un babbeo, quello sono io. I miei racconti, mai! Lì deve entrarci l'umanità, coi suoi buoni e cattivi, il cinismo, la speranza, l'ironia, preferibilmente rivolta a me stesso. Altrimenti dopo poche righe mi annoio e butto via tutto.

Sono a Kuala Lumpur da quasi un mese e non ho ancora goduto di una giornata di licenza. Nei giorni feriali insegno dalle 9:30 alle 16:30. Il sabato e la domenica dalle 9 alle 19. Credo di essere uno dei pochi individui a non vedere l'ora che arrivi il lunedì per rilassarsi un attimo.
Oggi per la prima volta sono libero e voglio fare una gitarella fuori porta. Devo scegliere tra le Batu Caves e Genting Highlands. Sono già stato in entrambi i posti una decina di anni fa. Su Genting avevo anche scritto qualcosa. Allora, vediamo: le grotte...un sacco di scalini, il caldo, le scimmie che rompono le balle. A Genting invece c'è la funivia sospesa sulla giungla e la frescura delle verdi montagne. Vado lì.
Alla biglietteria, visto che non so ancora a che ora vorrei tornare, mi convincono a comprare un viaggio di sola andata "Il ritorno lo compri lì, è una formalità." Potrebbe essere un presagio dagli oscuri risvolti, ma non cominciamo a fare i paranoici.

venerdì 14 dicembre 2012

Immagini bizzarre/2

Scene buffe e/o bizzarre osservate e immortalate personalmente

Anche le mosche scopano, che vi credevate? (Isola di Burano, Venezia, Italia)

 Sculture realizzate con pietre in equilibrio (Zurigo, Svizzera)

Originaloni in fila per farsi fare una foto mentre "reggono" la Torre Pendente (Pisa)

mercoledì 12 dicembre 2012

Merry shopping! Auguri di natale da Citibank - Kuala Lumpur, Malesia

I sinceri auguri natalizi di Citibank Malesia
Proprio così, Merry Shopping, è questo l'augurio di natale che Citibank rivolge ai suoi clienti di Kuala Lumpur quest'anno.  
Che tristezza! Dissacrante! Offensivo! Materialista!
Sono alcune delle prime cose che potrebbero venire in mente leggendo quella pubblicità, soprattutto a chi del natale ha, o finge di avere, un'idea diversa. Eppure se ci pensate bene è esattamente di questo che si tratta. Il natale, per aziende e commercianti altro non è che uno strumento per dare un impulso alle vendite. Ma si tratta di una visione condivisa anche dalla maggiorparte dei loro clienti. Lo sanno tutti quindi, e lo fanno tutti. Perché nascondersi dietro a frasi, pensieri, immagini e musichette ipocrite? Citibank Malesia quest'anno se n'è vista bene, andando dritto al sodo. Magari è stato un eccesso di franchezza involontario. Non lo sapremo mai. Ma se badiamo esclusivamente all'effetto concreto, senza fare dietrologia o processi alle intenzioni, per quanto mi riguarda va bene così.
E allora tanti auguri di buoni acquisti a tutti!

Rileggi qui la poesia sul natale dello scorso anno.

lunedì 10 dicembre 2012

Un antico detto veneto applicato a un centro commerciale di lusso - Kuala Lumpur, Malesia

Ma guarda che bel cesso tondo tondo...
Un antico detto veneto recita: "El tempo, el cul e i siori li fa sempre quel che vol lori." 
In effetti dieci minuti fa ero circondato da arroganti stronzetti a caccia di regali di natale tra i negozi di lusso di questo centro commerciale fighetto, mentre fuori infuriava una tempesta monsonica. Eccovi serviti, amanti dei proverbi, tempo e signori stanno facendo la loro parte. Mancherebbe il culo, pensavo, ma sottovalutavo il getto di atmosfera plutoniana che mi centrava le viscere mentre osservavo distratto quell'andirivieni di invasati. Io riflettevo e l'aria fredda mi lavorava ai fianchi e, soprattutto, al ventre.
E sarà per quello che questo branetto lo sto ideando in bagno, mentre seduto sulla tazza del cesso cerco di rilassare le viscere irrigidite. Anche il culo (mai così proverbiale) si è messo infine a fare quel che vuole. Per fortuna in questi centri commerciali persino i bagni sono lussuosi e immacolati. E poi, potrà anche sembrare un paradosso, ma gli stronzi che fluttuano qua dentro hanno meno puzza sotto il naso di quelli che trottano là fuori.

venerdì 7 dicembre 2012

Bordelli-corridoio a Brickfields - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di un bordello-corridoio, scattata in fretta e di nascosto
Brickfields è un quartiere a ridosso della stazione centrale di Kuala Lumpur (KL Sentral, sì Sentral, con la "S"). A differenza di altri distretti del centro è rimasto pressoché intoccato dal passaggio delle ondate di modernità che hanno stravolto la città, anche se le imponenti linee di grattacieli e infrastrutture lo assediano accanite. La zona ospita una pittoresca Little India, alberghi economici, ristorantini multietnici, bancarelle e luoghi di culto, tra cui numerose chiese cristiane. 
I locali più bizzarri sono però dei corridoi lunghi e stretti che si affacciano sui marciapiedi. L'entrata semi coperta da uno straccio che funge da tenda, una tenue luce rosa che fuoriesce dai lati liberi, attraverso i quali è possibile spiare una serie di porte malmesse, ognuna sorvegliata da una donnina in abiti succinti appoggiata a uno stipite o seduta su uno sgabellino di plastica. Un magnaccia con l'atteggiamento tipico del ragno-umano (mi stava per scappare scritto uomo-ragno, ma ho visto cartoni e letto fumetti: so che differenza passa tra il bene e il male) sta seduto o in piedi appena fuori. I clienti entrano ed escono in fretta, forse per assecondare l'imbarazzo. Altre persone, con facce che spaziano dal losco al tagliagole, bighellonano nei dintorni, urlando, ridendo, sbeffeggiandosi o spingendosi. Condensati di squallore sociale metropolitano.
Sono dei piccoli bordelli, a gestione familiare: all'interno di alcuni si intravedono persino la cucina e alle volte, nel fondo, come in una qualsiasi casa cinese che si rispetti, un colorato altarino buddhista. Ce ne sono a decine, sfacciati, miseri, sporchi, indisturbati. I magnaccia invitano i passanti a dare un'occhiata alle offerte di giornata. Io ci cammino spesso davanti e vengo sistematicamente ignorato. Potrei illudermi di essere diverso da quegli altri, di non avere l'aria del puttaniere, ma la so troppo lunga per ingannarmi in quel modo. Le razioni di sexy man! e handsome guy! - tutti genuinamente falsi -, che le bar-lady thailandesi negli anni hanno riservato anche a me, non me lo permetterebbero.

martedì 4 dicembre 2012

Il grande Mirco Buso(wski), un film dei fratelli Coe(ghi)n - Padova

Attenzione! Parte del dialogo incluso in questo post è in dialetto veneto. La traduzione in italiano è riportata in coda.

Padova, via Benedetto Cristofori, fine anni '90. Un locale angusto nascosto sotto i portici, pieno di fumo e odori acri di cucina. L'istrionico oste, dopo aver stretto loro la mano all'americana, chiacchiera con un gruppo di giovani avventori, al tavolo presso cui questi stanno bevendo il suo celebre Sangue di Giuda (un vino contraffatto, recuperato, riciclato, rimescolato e riutilizzato) e mangiucchiando delle patatine fritte. 

"Tosi, savio parché ai me clienti ghe piaze cusì tanto 'e me patate frite?" 
"Eh, dai, dicci un po' Mirco, perché?" 
"Parché 'e ze fresche ah, eco parché!!!" 
"Eh beh, in effetti ormai di patatine fresche ai ristoranti non se ne trovano più..." 
"Esato! A mi invese me ne riva tute 'e matine...do pachi grandi cusì...zà tajà e surgeà." (Mentre lo dice allarga le braccia a mimare la grandezza dei pacchi.)
"Ma come, Mirco, già tagliate e surgelate? Non hai detto che sono fresche???" 
"Freschisime! Te go dito che ghe ne riva DO pachi enormi, NOVI...TUTI i jorni!!!" 
"..." 

Mirco Buso, un oste e un'osteria che hanno lasciato un grande vuoto in città.

Traduzione del dialogo:

lunedì 3 dicembre 2012

Durian: il vero frutto proibito, ovvero la misura della libertà - Kuala Lumpur, Malesia

Un durian aperto a colpetti di machete: un fagiolozzo intatto e un seme spolpato
Cosa c'entra il durian, un frutto tropicale, con la libertà? Forse nulla, forse molto.
Il durian. L'avevo assaggiato anni fa, appena arrivato nel Sud Est Asiatico. Dev'essere stato a Singapore: a Bugis Junction infatti, dove alloggiavo, non appena arrivava la stagione della raccolta la zona si riempiva di bancarelle. Pur non facendomi schifo, come invece alla maggior parte degli occidentali, non mi aveva entusiasmato, anche se non saprei spiegare il perché. Nemmeno la sua presunta, terribile puzza mi aveva colpito. E pensare che proprio a Singapore, a causa del cattivo odore che emanano, i durian sono proibiti negli hotel, nella metropolitana e in altri luoghi pubblici, con tanto di cartelli di divieto illustrati. Ma a Singapore è persino vietato importare gomme americane, figuriamoci mangiare frutta puzzolente in ambienti chiusi. In Asia mi è capitato di annusare cibo ben più maleodorante del durian. Certe varietà di chou doufu (tofu puzzolente) in Cina e a Taiwan mi hanno costretto a tapparmi il naso quando mi trovavo a cinquanta metri o più dal ristorante-sorgente. Un'intensità simile a quella del fetore che ormai più di vent'anni orsono, in un paesino dell'Appennino Lucano, saliva dalla scarpata su cui putresceva la carcassa di una vacca ed entrava dalla finestra rotta impregnando l'aria della stanza, tenendo me e mio fratello svegli tutta la notte, a cercare topi morti sotto il letto e controllare i conati di vomito mentre non smettevamo di ridere increduli. Il durian puzza vagamente di gas da cucina, ma non si tratta di un odore insopportabile.