venerdì 17 febbraio 2012

Perché viaggiamo?

Tipi opposti di turisti (o viaggiatori?) che farei volentieri a meno di incontrare: quelli che girano il mondo per dimostrare (più che altro a se stessi) che il loro paese alla fin fine è il posto migliore, senza nemmeno dare una chance a quello che stanno visitando, e quelli che spesso amano qualsiasi paese che visitano più del proprio, anche se la sporcizia, la violenza, l'ingordigia, il razzismo, la corruzione, la povertà e l'ingiustizia che possono trovarvi sono aspetti che non tollererebbero mai a casa. 
A parte la mancanza di equilibrio e di onestà intellettuale...che enorme spreco di risorse! Se hanno già deciso, perché non se ne stanno fermi nel posto a cui hanno assegnato il premio prima ancora che la gara cominciasse, a godersi la chiarezza cementata delle loro idee, risparmiando così un sacco di tempo nonché i soldi dei voli, degli alberghi, dei ristoranti, dei tour e delle guide?
Oltre alla conferma delle nostre aspettative, nei viaggi non dovremmo anche cercare il piacere della scoperta?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Un tormentone che dura da un secolo e mezzo è quello della differenza tra il
turista e il viaggiatore. Questa distinzione è ormai diventata un luogo comune, in
certi casi costituisce un credo incrollabile, amici e conoscenti la snocciolano,
sicuri. Al punto che diventa penoso contraddirli. La differenza sembra molto, fin
troppo facile: dove il viaggiatore è attivo, il turista è passivo; dove il viaggiatore è
curioso, il turista è annoiato. L’eroe del viaggio di stampo romantico è tallonato
da un’ombra: il turista, che ne scimmiotta le gesta, senza nobiltà e senza cultura.
In pratica, il turista sarebbe un viaggiatore senza qualità. Fin qui tutto bene.
Nel film di Bernardo Bertolucci “Il tè nel deserto”, tratto dal romanzo The
Sheltering Sky di Paul Bowles (1977) ci sono un paio di battute a questo proposito.
Siamo in Marocco, nel primo dopoguerra. Tre americani viaggiano in cerca di
emozioni. Non si sentono turisti. Anzi, si pregiano di non esserlo: perché il turista
è colui che “mentre viaggia pensa al ritorno”. Un’altra importante differenza tra
turista e viaggiatore, vi si legge, starebbe nel fatto che “il primo accetta la propria
forma di civiltà senza discutere; non così il viaggiatore, che la paragona con le
altre, e respinge quegli elementi che non trova di suo gusto”.
Quanto alla prima discriminante, diciamolo subito, è una bufala. Tutti prima
o poi pensano alla propria casa, in viaggio. Soprattutto, pensiamo tutti quanti a
riportare a casa la pelle. Diversa e di maggiore spessore è la seconda
osservazione: mentre il vero viaggiatore mette in discussione i valori della propria
civiltà, il turista cerca invece conferme della loro universale validità. Ma per questo
non occorre viaggiare, basta ragionare e relativizzare un po’ le cose.
La differenza corre casomai tra la chiusura e l’apertura, tra la distrazione e
l’accortezza. La distinzione tra turisti e viaggiatori - argomento sul quale si
cimenta un drappello di espertoni - in verità è un po’ così: più si analizza più
svapora. Clamorose meschinità di grandi viaggiatori e qualità nascoste di turisti
dozzinali rendono piuttosto difficile separare i “buoni” dai “cattivi”. E’ assai più
interessante, invece, capire le origini storiche di questo bisogno di distinguere le
due figure.
1
Trasferiamoci per un attimo in montagna, precisamente in Svizzera, nella
seconda metà dell’Ottocento. Siamo in uno dei “laboratori” dove si accavallano
l’itinerario romantico e il nuovo turismo moderno. In questa impervia oasi
naturale, ispiratrice dei più nobili pensieri, si diffonde l’immagine di una meta
dotata di comodi rifugi, raggiungibili da tutti. Sugli stessi sentieri iniziano a
incrociarsi viaggiatori aristocratici con la puzza al naso e chiassose comitive in
cerca di svago, qui i filosofi della natura camminano gomito a gomito con i
buontemponi. Il primo turismo alpino è un fenomeno aristocratico, che
ovviamente porta con sé tutto il suo bagaglio di moda, di cultura e di pregiudizio.
Quando i montanari smetteranno di essere considerati barbari, o descritti come
tali nei diari di viaggio dei signori, cominceranno a esserlo i turisti stessi:
percepiti come un volgo invadente, che si spinge inopportunamente fuori sede.
Nel suo Diario di viaggio in Svizzera (1868) Antonio Fogazzaro descrive per
esempio un piroscafo sul lago di Valsolda, sul confine italiano, con a bordo “i
manipoli della invasione barbarica che si versa ogni anno” dal Gottardo; e li
descrive come Unni, armati di bastone da passeggio. Analogamente, nel suo
diario marocchino (1892), il raffinato scrittore di viaggi Pierre Loti sbotta: “E’
spaventosa questa valanga di sfaccendati che va a curiosare dappertutto”

Fabio ha detto...

Grazie del contributo, da dove è tratto? Potevi firmarti però...