giovedì 27 dicembre 2012

Adieu Pattayà!

L'insegna luminosa sulla collina che sovrasta Walking Street
E' arrivato il momento di lasciare Pattaya. L'amico italiano che lavora qui e che quest'anno mi ha ospitato spesso a casa sua è stato trasferito alla filiale cinese dell'azienda. Le operazioni di trasloco sono quasi finite, rimangono da sbrigare alcune pratiche per lo sdoganamento del cane e poi siamo a posto. Lui volerà a Shanghai, io rientrerò nella mia amata modalità semi-nomadica. Prevedo molti viaggi. Il più possibile via terra, l'unico modo per godersi ciò che c'è tra i luoghi A e B, oltre che gli stessi A e B.
Non mi posso lamentare troppo di questa città. L'ospitalità è stata ottima, la casa è stupenda. I ritmi di vita, le distanze, il traffico e anche il paesaggio sono più a misura d'uomo rispetto a quelli di Bangkok, tanto per fare un esempio. La spiaggia e l'acqua non sono un gran che, anzi, fanno piuttosto schifo, ma il mare è sempre il mare. Il tipo di turismo e di vita notturna, la prostituzione invasiva, la corruzione, il materialismo dilagante e l'atmosfera pesantemente losca lo fanno però diventare ben presto un posto insopportabile.
I'm fuckin' outta here. Come ho sentito dire a certi tizi che badavano più al modello di canottiera e bandana, alla visibilità del tatuaggio e del pettorale, alle treccine e all'inclinazione del berrettino che alla qualità di quel che usciva dalle loro bocche. 
Goodbye Pattaya! Di aneddoti bizzarri e spesso scabrosi me ne hai raccontati parecchi, e un amante di storie quale sono non può che essertene grato. Di sicuro però, almeno per un po', non credo proprio che mi mancherai.

PS Le storie raccapriccianti di Pattaya ho finito di ascoltarle, ma non di raccontarle. Ci saranno quindi altri post-umi sul tema

lunedì 24 dicembre 2012

Customer care-less - Thailandia

Questo è un altro post accusa. Lo pubblico a beneficio di chi ha avuto problemi simili a quello che ho avuto io. Ma anche per cercare di provocare un minimo danno di immagine all'azienda colpevole, affinché imparino la lezione e si comportino correttamente in futuro. Per chi non è interessato alla questione può risultare un po' noioso, saltatelo pure e passate al prossimo post del blog.

Questa volta il bersaglio è la catena di negozi IT City, specializzata in prodotti di informatica ed elettronica.
A loro favore devo premettere che si tratta probabilmente dei centri meglio forniti e coi prezzi più competitivi della Thailandia. Quando però ho avuto occasione di metterne alla prova l'atteggiamento verso i clienti che si presentano con qualche problema (il cosiddetto customer service o servizio post vendita) la bocciatura è stata inevitabile, immediata e assoluta. E non si tratta certo di un caso isolato: la serie di comportamenti e situazioni inaccettabili è stata troppo lunga e clamorosa per poter prendere qualsiasi tipo di attenuante in considerazione.
I fatti. La mia chiavetta internet iFox non funziona più. E' colpa mia, l'ho sottoposta a una serie di colpi e torsioni insostenibile, è saltato qualche contatto e il pc non la riconosce più. Peccato, la utilizzavo con un abbonamento 3G della AIS molto conveniente e non mi ha mai dato problemi. Ho anche provato a ripararla: per quel che era possibile ho persino peggiorato la situazione. Me ne vergogno un po', ma ho cercato di fare il mio dovere. La laurea in ingegneria imponeva il tentativo, il successo era auspicabile ma non scontato.

mercoledì 19 dicembre 2012

Come Rocky Balboa - Kuala Lumpur, Malesia

Ogni sera, dopo aver finito la lezione ed esser tornato in albergo, mi strappo di dosso le vesti da insegnante, mi infilo pantaloncini, maglietta sintetica, scarpe di gomma e scendo per una corsetta. Da Brickfields, nei pressi della stazione centrale di KL, a Bangsar, mezzoretta per le stradine di qualche quartiere residenziale. 
Anche i malesiani fanno esercizio, ovviamente, ma ho il sospetto che vadano in quelle palestre ad aria condizionata o che corrano altrove: qui infatti sono sempre l'unico che trotta. E a quelli che incrocio devo sembrare un occidentale un po' svitato o un atleta serio che si prepara per una competizione ufficiale (nel secondo dei casi probabilmente non hanno osservato attentamente il mio fisico...). Comunque sia devo apparire come uno a cui per qualche ragione si sorride, si rivolge la parola, va dimostrata in qualche modo simpatia. Il parcheggiatore abusivo ride e mi dice:" He he…running, running...yes, yes…" Le guardie giurate dei condomini di lusso mi salutano con un "Good evening, Sir!" E i passanti domandano, un po' retoricamente: "Going jogging, right?" Tutti sorridono, simpatizzano, incoraggiano. 
Io di solito parto per farmi i cavoli miei, correre, fare due stiramenti, due piegamenti e poi tornare in stanza, stanco e soddisfatto. Ma non ci riesco a far finta che tutto ciò non abbia alcun valore. Quindi rispondo, sorrido, saluto, e i loro approcci mi infondono energia. Non credevo di averne bisogno, ma quella loro umanità mi entra in circolo, mi tonifica, mi rinfresca, mi eccita. Accelero, alzo la testa, mi muovo con più fluidità. Mi sento quasi Rocky Balboa che si allena lungo i viali di Filadelfia, e quando la strada sale in collina è come se sprintassi sulla famosa scalinata, circondato dai ragazzini. E in cima potrei fermarmi, buttare in alto le braccia, saltare e urlare: "Avanti Apollo Creed! Sono qui, sono il tuo Stallone italiano, pronto per farti un culo quadro e strapparti quella cintura dorata di dosso!" 
Ma non lo faccio. Invece mi giro, torno indietro, comincio anche a sentirmi un po' stanco: quella salita, e soprattutto quella accelerata insensata si fanno sentire. Per fortuna la fisica non è un'opinione e quel che saliva al ritorno scende. Devo solo controllare le falcate e stare attento alle articolazioni.
Rocky Balboa un par di palle, ora mi sento più come Danny Devito, Benny Hill o Mr. Bean.
Però, che iniezione di adrenalina sono i sorrisi e le parole dolci degli sconosciuti, specialmente in un luogo alieno. Come una specie di doping, ma senza controindicazioni.

martedì 18 dicembre 2012

Scampagnata a Genting Highlands, con galleria fotografica - Malesia

Le cabine della funivia o, come le chiamano qui, gondole
Questo poteva essere uno di quei raccontini babbei in cui si descrive quel che si è fatto in un giorno libero. Ma se qui c'è un babbeo, quello sono io. I miei racconti, mai! Lì deve entrarci l'umanità, coi suoi buoni e cattivi, il cinismo, la speranza, l'ironia, preferibilmente rivolta a me stesso. Altrimenti dopo poche righe mi annoio e butto via tutto.

Sono a Kuala Lumpur da quasi un mese e non ho ancora goduto di una giornata di licenza. Nei giorni feriali insegno dalle 9:30 alle 16:30. Il sabato e la domenica dalle 9 alle 19. Credo di essere uno dei pochi individui a non vedere l'ora che arrivi il lunedì per rilassarsi un attimo.
Oggi per la prima volta sono libero e voglio fare una gitarella fuori porta. Devo scegliere tra le Batu Caves e Genting Highlands. Sono già stato in entrambi i posti una decina di anni fa. Su Genting avevo anche scritto qualcosa. Allora, vediamo: le grotte...un sacco di scalini, il caldo, le scimmie che rompono le balle. A Genting invece c'è la funivia sospesa sulla giungla e la frescura delle verdi montagne. Vado lì.
Alla biglietteria, visto che non so ancora a che ora vorrei tornare, mi convincono a comprare un viaggio di sola andata "Il ritorno lo compri lì, è una formalità." Potrebbe essere un presagio dagli oscuri risvolti, ma non cominciamo a fare i paranoici.

venerdì 14 dicembre 2012

Immagini bizzarre/2

Scene buffe e/o bizzarre osservate e immortalate personalmente

Anche le mosche scopano, che vi credevate? (Isola di Burano, Venezia, Italia)

 Sculture realizzate con pietre in equilibrio (Zurigo, Svizzera)

Originaloni in fila per farsi fare una foto mentre "reggono" la Torre Pendente (Pisa)

mercoledì 12 dicembre 2012

Merry shopping! Auguri di natale da Citibank - Kuala Lumpur, Malesia

I sinceri auguri natalizi di Citibank Malesia
Proprio così, Merry Shopping, è questo l'augurio di natale che Citibank rivolge ai suoi clienti di Kuala Lumpur quest'anno.  
Che tristezza! Dissacrante! Offensivo! Materialista!
Sono alcune delle prime cose che potrebbero venire in mente leggendo quella pubblicità, soprattutto a chi del natale ha, o finge di avere, un'idea diversa. Eppure se ci pensate bene è esattamente di questo che si tratta. Il natale, per aziende e commercianti altro non è che uno strumento per dare un impulso alle vendite. Ma si tratta di una visione condivisa anche dalla maggiorparte dei loro clienti. Lo sanno tutti quindi, e lo fanno tutti. Perché nascondersi dietro a frasi, pensieri, immagini e musichette ipocrite? Citibank Malesia quest'anno se n'è vista bene, andando dritto al sodo. Magari è stato un eccesso di franchezza involontario. Non lo sapremo mai. Ma se badiamo esclusivamente all'effetto concreto, senza fare dietrologia o processi alle intenzioni, per quanto mi riguarda va bene così.
E allora tanti auguri di buoni acquisti a tutti!

Rileggi qui la poesia sul natale dello scorso anno.

lunedì 10 dicembre 2012

Un antico detto veneto applicato a un centro commerciale di lusso - Kuala Lumpur, Malesia

Ma guarda che bel cesso tondo tondo...
Un antico detto veneto recita: "El tempo, el cul e i siori li fa sempre quel che vol lori." 
In effetti dieci minuti fa ero circondato da arroganti stronzetti a caccia di regali di natale tra i negozi di lusso di questo centro commerciale fighetto, mentre fuori infuriava una tempesta monsonica. Eccovi serviti, amanti dei proverbi, tempo e signori stanno facendo la loro parte. Mancherebbe il culo, pensavo, ma sottovalutavo il getto di atmosfera plutoniana che mi centrava le viscere mentre osservavo distratto quell'andirivieni di invasati. Io riflettevo e l'aria fredda mi lavorava ai fianchi e, soprattutto, al ventre.
E sarà per quello che questo branetto lo sto ideando in bagno, mentre seduto sulla tazza del cesso cerco di rilassare le viscere irrigidite. Anche il culo (mai così proverbiale) si è messo infine a fare quel che vuole. Per fortuna in questi centri commerciali persino i bagni sono lussuosi e immacolati. E poi, potrà anche sembrare un paradosso, ma gli stronzi che fluttuano qua dentro hanno meno puzza sotto il naso di quelli che trottano là fuori.

venerdì 7 dicembre 2012

Bordelli-corridoio a Brickfields - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di un bordello-corridoio, scattata in fretta e di nascosto
Brickfields è un quartiere a ridosso della stazione centrale di Kuala Lumpur (KL Sentral, sì Sentral, con la "S"). A differenza di altri distretti del centro è rimasto pressoché intoccato dal passaggio delle ondate di modernità che hanno stravolto la città, anche se le imponenti linee di grattacieli e infrastrutture lo assediano accanite. La zona ospita una pittoresca Little India, alberghi economici, ristorantini multietnici, bancarelle e luoghi di culto, tra cui numerose chiese cristiane. 
I locali più bizzarri sono però dei corridoi lunghi e stretti che si affacciano sui marciapiedi. L'entrata semi coperta da uno straccio che funge da tenda, una tenue luce rosa che fuoriesce dai lati liberi, attraverso i quali è possibile spiare una serie di porte malmesse, ognuna sorvegliata da una donnina in abiti succinti appoggiata a uno stipite o seduta su uno sgabellino di plastica. Un magnaccia con l'atteggiamento tipico del ragno-umano (mi stava per scappare scritto uomo-ragno, ma ho visto cartoni e letto fumetti: so che differenza passa tra il bene e il male) sta seduto o in piedi appena fuori. I clienti entrano ed escono in fretta, forse per assecondare l'imbarazzo. Altre persone, con facce che spaziano dal losco al tagliagole, bighellonano nei dintorni, urlando, ridendo, sbeffeggiandosi o spingendosi. Condensati di squallore sociale metropolitano.
Sono dei piccoli bordelli, a gestione familiare: all'interno di alcuni si intravedono persino la cucina e alle volte, nel fondo, come in una qualsiasi casa cinese che si rispetti, un colorato altarino buddhista. Ce ne sono a decine, sfacciati, miseri, sporchi, indisturbati. I magnaccia invitano i passanti a dare un'occhiata alle offerte di giornata. Io ci cammino spesso davanti e vengo sistematicamente ignorato. Potrei illudermi di essere diverso da quegli altri, di non avere l'aria del puttaniere, ma la so troppo lunga per ingannarmi in quel modo. Le razioni di sexy man! e handsome guy! - tutti genuinamente falsi -, che le bar-lady thailandesi negli anni hanno riservato anche a me, non me lo permetterebbero.

martedì 4 dicembre 2012

Il grande Mirco Buso(wski), un film dei fratelli Coe(ghi)n - Padova

Attenzione! Parte del dialogo incluso in questo post è in dialetto veneto. La traduzione in italiano è riportata in coda.

Padova, via Benedetto Cristofori, fine anni '90. Un locale angusto nascosto sotto i portici, pieno di fumo e odori acri di cucina. L'istrionico oste, dopo aver stretto loro la mano all'americana, chiacchiera con un gruppo di giovani avventori, al tavolo presso cui questi stanno bevendo il suo celebre Sangue di Giuda (un vino contraffatto, recuperato, riciclato, rimescolato e riutilizzato) e mangiucchiando delle patatine fritte. 

"Tosi, savio parché ai me clienti ghe piaze cusì tanto 'e me patate frite?" 
"Eh, dai, dicci un po' Mirco, perché?" 
"Parché 'e ze fresche ah, eco parché!!!" 
"Eh beh, in effetti ormai di patatine fresche ai ristoranti non se ne trovano più..." 
"Esato! A mi invese me ne riva tute 'e matine...do pachi grandi cusì...zà tajà e surgeà." (Mentre lo dice allarga le braccia a mimare la grandezza dei pacchi.)
"Ma come, Mirco, già tagliate e surgelate? Non hai detto che sono fresche???" 
"Freschisime! Te go dito che ghe ne riva DO pachi enormi, NOVI...TUTI i jorni!!!" 
"..." 

Mirco Buso, un oste e un'osteria che hanno lasciato un grande vuoto in città.

Traduzione del dialogo:

lunedì 3 dicembre 2012

Durian: il vero frutto proibito, ovvero la misura della libertà - Kuala Lumpur, Malesia

Un durian aperto a colpetti di machete: un fagiolozzo intatto e un seme spolpato
Cosa c'entra il durian, un frutto tropicale, con la libertà? Forse nulla, forse molto.
Il durian. L'avevo assaggiato anni fa, appena arrivato nel Sud Est Asiatico. Dev'essere stato a Singapore: a Bugis Junction infatti, dove alloggiavo, non appena arrivava la stagione della raccolta la zona si riempiva di bancarelle. Pur non facendomi schifo, come invece alla maggior parte degli occidentali, non mi aveva entusiasmato, anche se non saprei spiegare il perché. Nemmeno la sua presunta, terribile puzza mi aveva colpito. E pensare che proprio a Singapore, a causa del cattivo odore che emanano, i durian sono proibiti negli hotel, nella metropolitana e in altri luoghi pubblici, con tanto di cartelli di divieto illustrati. Ma a Singapore è persino vietato importare gomme americane, figuriamoci mangiare frutta puzzolente in ambienti chiusi. In Asia mi è capitato di annusare cibo ben più maleodorante del durian. Certe varietà di chou doufu (tofu puzzolente) in Cina e a Taiwan mi hanno costretto a tapparmi il naso quando mi trovavo a cinquanta metri o più dal ristorante-sorgente. Un'intensità simile a quella del fetore che ormai più di vent'anni orsono, in un paesino dell'Appennino Lucano, saliva dalla scarpata su cui putresceva la carcassa di una vacca ed entrava dalla finestra rotta impregnando l'aria della stanza, tenendo me e mio fratello svegli tutta la notte, a cercare topi morti sotto il letto e controllare i conati di vomito mentre non smettevamo di ridere increduli. Il durian puzza vagamente di gas da cucina, ma non si tratta di un odore insopportabile.

giovedì 29 novembre 2012

Si sono venduti l'entrata del centro commerciale - Kuala Lumpur, Malesia

L'entrata che fu, convertita in negozio
A Bukit Bintang, in pieno centro città, c'è un noto centro commerciale. Come tutti i centri commerciali anch'esso aveva un'entrata, con le grandi porte automatiche a vetri, i giochi di luce, il pavimento in stile. Quelli che lo gestiscono se la sono venduta. Sì, si sono venduti l'entrata. Il centro è regolarmente aperto al pubblico ma l'entrata è stata sostituita da un negozio di abbigliamento che bisogna attraversare se ci si vuole recare all'interno o all'esterno. Con le porte piccole, i corridoi e una fastidiosa sensazione di essere un intruso.
Proviamo per un momento ad andare indietro nel tempo e immaginiamoci la scena seguente. Si sta tenendo il consiglio di amministrazione della società di gestione del centro commerciale. Un cliente importante ha chiesto uno spazio per l'apertura di un suo nuovo punto vendita. 
"Non abbiamo nulla da offrirgli."
"Come nulla? L'ultimo piano è mezzo vuoto!"
"Questo genere di clienti non li metti all'ultimo piano. Vogliono il piano terra, possibilmente a ridosso dell'entrata..."
"D'altra parte non abbiamo contratti d'affitto in scadenza fino al 2020."
Nella sala cala il silenzio. Nessuno ha uno straccio di un'idea da proporre. Poi un giovane assistente, un neolaureato appena assunto, piuttosto annoiato si abbassa a scrutare la mappa della struttura e ci punta un dito sopra. Quindi, tra sé e sé, bofonchia:
"Qui c'è uno spazio libero..."
Il capo butta un'occhio, scoppia in una risata arrogante e lo falcia con un commento sprezzante:

martedì 27 novembre 2012

KL Monorail: il mezzo di trasporto più tenero al mondo - Kuala Lumpur, Malesia

Il musetto da topolino della KL Monorail
La Monorail di Kuala Lumpur sembra quasi un giocattolo, un modellino di metropolitana, una sopraelevata della Lima. Con quelle sue stazioncine, le tensostruttirine, le lucine, i cartellini segnaletici, i semaforini, le scalette per spostarsi tra i binarietti, i vagoncini, il musetto da topolino, i faretti, i sedilini, le porticine, gli allarmini che ne segnalano la chiusura, la vocina che annuncia le fermatine, le ruotine, le rotaiette, tutte quelle curvine che rendono il percorsino così tortuoso. Già, perché la Monorail, piccina, ha dovuto adattarsi a tutto e niente in città si è spostato di un centimetro per farle un po' di posto. Come se non bastasse le hanno dato soltanto una rotaia: per un mezzo del genere due erano in effetti troppe.
Nella vicina Bangkok la Monorail ha un cugino: il massiccio, sicuro di sé, superbo Skytrain, che avanza con fierezza in linea retta sopra le direttrici principali della città: poche le curve e gli ostacoli da aggirare.
La Monorail invece sembra quasi uno scherzo, o meglio, uno scherzetto. Ma dopotutto è così tenera: ogni volta che sali a bordo è come se un fantasma ti pizzicasse gli angoli della bocca tendendoti un gran sorriso sul volto. E più avanzi verso l'interno più le sue dita tirano e più il sorrisone si espande. Caldo torrido, piogge monsoniche, traffico e smog, la situazione all'esterno può anche essere disperata ma la Monorail di KL non ti tradisce mai: quando la utilizzi ti prende sempre il buon umore.

giovedì 22 novembre 2012

L'onta della business class - Da Bangkok a Kuala Lumpur

Ne avevo sempre sentito parlare come scelta di qualità, come compensazione per problemi di overbooking o sedili danneggiati, persino come scorciatoia per stringere conoscenze utili. Ero però sempre riuscito a starne alla larga, io, membro orgoglioso del popolo rozzo, animato da selvaggia avversione nei confronti dei vezzi degli arricchiti: il golf, i circoli esclusivi, le auto pacchiane, i monili, le villette borghesotte, e, per l'appunto, la business class. Alla fine però, dopo anni di viaggi scomodi e polverosi, carri bestiame, convogli per prigionieri, pullman in bilico sul ciglio di un precipizio, attese prolungate in terra di nessuno e trafile noiose per clandestini alla dogana, mi è toccato subirne l'umiliazione. Io, quello che si lamentava per averci messo solo 32 ore da Venezia a Bangkok, ripromettendosi per compensare di farlo un giorno via terra. Proprio io, sì, infilato di straforo in business class. Non per mia scelta, sia chiaro. Quelli dei corsi l'hanno tirata per le lunghe, si sono ridotti all'ultimo momento e visto che i posti in economy erano tutti esauriti sono stati costretti a prenotarmene uno nella classe superiore. L'alternativa era quella di non avere un insegnante al primo giorno di lezione: francamente impraticabile.
E così mi sono ritrovato stordito da un susseguirsi di privilegi di cui non avevo mai sentito la mancanza: banco preferenziale al check-in, premier lane alla dogana in uscita, la sala d'attesa di lusso, i priority seat al gate, la precedenza all'imbarco, il divano volante, l'ampia scelta di riviste patinate, le hostess che si fermano a fare conversazione (non mi avete mai cagato quando stavo stipato tra gli altri passeggeri-sardine lì dietro, siete a caccia di un marito ricco? Continuate pure a cercare...), l'aperitivo dopo il decollo, la frutta secca selezionata (meno del 30% di arachidi!!! Non è fantastico?), la tovaglia di broccato, le posate in tungsteno, i bicchieri di cristallo, il vicino che sorride, ringrazia e annuisce come uno studente di Eton e di nuovo la premier lane alla dogana in entrata. Se mi avessero sgamato a camminarmi le poche centinaia di metri che separano la stazione della navetta dall'alberghetto, con il borsone e la chitarra a tracolla, mi avrebbero bandito dal circolo del lusso a vita.
Oh intendiamoci, sono comodità eh, dettagli che indubbiamente ti cambiano il viaggio. Anzi, che non ti fanno proprio sentire in viaggio. Ma io devo comunque parlarne male: sono capricci che non fanno per me a cui però si fa presto ad abituarsi. Quando mi imbatto in qualcosa che luccica un po' troppo...preferisco adottare la diffidenza dei pezzenti.

Foto di caribb (CC)

martedì 20 novembre 2012

Essere eroi può anche non bastare

Nonostante vi trovi spazio qualche bufala di troppo Facebook può essere utilizzato per diffondere delle storie interessanti. Ma soprattutto autentiche. Questa per esempio.
Durante la seconda guerra mondiale una signora polacca, Irena Sendler, salvò 2500 bambini ebrei da morte certa per mano dei nazisti, tirandoli fuori di nascosto, a piccoli gruppi, dal ghetto di Varsavia. Alla fine fu scoperta, torturata e condannata a morte. Condanna a cui riuscì per fortuna a sottrarsi. Nel 2007 fu tra i nominati per la vittoria del Nobel per la Pace, con l'appoggio ufficiale dei governi di Polonia e Israele. Non vinse: le 2500 vite innocenti che ha salvato, i rischi che ha corso, il coraggio, le torture sofferte, la condanna a morte scampata e le sponsorizzazioni illustri non sono bastate. Per la commissione c'era infatti quell'anno un candidato più meritevole: l'ex vice presidente americano Al Gore. Sì, non ho scritto male, avete letto bene. Il Nobel per la pace nel 2007 non andò a Irena Sendler, bensì ad Al Gore. Colui che riuscì a dilapidare l'enorme vantaggio che i democratici avevano alla fine della presidenza di Bill Clinton, permettendo al mediocre George W Bush di vincere le elezioni e fare il bullo in giro per il mondo per otto anni. E che si è poi messo a girare film.
Avevo già espresso dei dubbi sulla credibilità del premio quando lo vinse Barak Obama. Per fortuna la proposta per la nomination di Silvio Berlusconi non ebbe successo, se non nel suscitare grande ironia e sonore risate (comprese le mie). Ma Al Gore al posto di Irena Sendler è inquietante. Se questo è il modo in cui la commissione sceglie i vincitori il premio è soltanto un mucchio di spazzatura.

sabato 17 novembre 2012

La leggenda dei poliziotti tedeschi "buoni"

Manifestanti e polizia si sono scontrati in varie città italiane. Il paese, come al solito, si spacca su questioni del genere: chi ha ragione, chi ha torto...probabilmente la verità è che sia tra i dimostranti che tra gli agenti si annidano degli esaltati poco interessati alla questione centrale e desiderosi di far cagnara, esibirsi e menar le mani. Un po' come quei tizi che stanno allo stadio a petto nudo, megafono in mano, sciarpa in faccia e spalle sempre rivolte al campo da gioco. Ma non è su questo che volevo soffermarmi.
Molti utenti di Facebook hanno deciso di rispolverare una foto vecchia di qualche mese, scattata a Francoforte, nella cui didascalia si sostiene che gli agenti tedeschi si sarebbero tolti i caschi e avrebbero marciato a fianco dei manifestanti.
La foto, o perlomeno quel tipo di interpretazione, è un falso. Dimostrato dal quotidiano online linkiesta.it in quest'articolo pochi giorni dopo lo scatto, che risale a maggio '12. A provarlo ci sono le dichiarazioni dell'inviato del giornale, del fotografo di AP e degli stessi leader della manifestazione.
Ma a chi diffonde fesserie in Facebook questo non importa. L'importante è darsi delle arie da saputello terminando il post con un "ITALIANI SVEGLIA!!!" strillato in stampatello. Continuando nella vita reale a dormire sonni tranquilli. E allora...sogni d'oro!

giovedì 15 novembre 2012

Soi Country Club, il posto giusto per l'adulterio - Pattaya, Thailandia

Il nome è fuorviante: Soi country club. Soi in thailandese significa vicolo, ma questa è una strada, lunga e battuta, che scorre tra negozi, ristoranti, villaggi, un golf e un polo club, un maneggio, lo stadio del Pattaya Utd e un lago - il Mabprachan - meta per scampagnate pomeridiane, ma anche notturne. Proprio così, notturne. Lungo la riva meridionale ci sono infatti file di bar con donnine che se approcciate non oppongono certo una resistenza da fortezza medievale assediata, e poi birra, musica, biliardi, persino i ladyboy, proprio come nelle zone a luci rosse del centro. Appunto, ma chi ci viene fino a qui, dal centro? Chi si fa dieci chilometri per godersi una versione scadente e limitata di ciò che può trovare anche a cento metri da casa? La risposta la sa chi vive qui da anni: sono quegli uomini, fidanzati o sposati, che hanno bisogno di un luogo sicuro dove abbandonarsi senza paranoie ai piaceri dell'adulterio. L'area infatti offre anche motel a ore e centri sauna/massaggi dove le mani - e magari qualcos'altro - di altre donnine compiacenti si concentrano su ogni parte del corpo dei loro clienti.
Altri due chilometri e il ronzio della moto viene parzialmente attutito dagli schiamazzi dei bimbi di una scuola. Qui il mezzo non è il solo a rallentare: anche il progresso scala e avanza a marce ridotte. Non è una questione di tecnologia o di mode, bensì di dettagli e atmosfera: la polvere argillosa, le ciabatte, i tetti di ondulato, i pali sbiechi ricavati dal bambù, il conflitto fra quelle catapecchie e la vegetazione circostante che sembrerebbe quasi essere ancora in bilico. C'è aria di Cambogia, di Laos, forse addirittura di Birmania, proprio qui, nel vecchio Siam!
Poi un camion sbuffa fumo nero e alza un polverone. Tempo di riprendersi ed è già un torrente in piena di moto, auto, semafori, con vortici di clacson, fischietti e calcestruzzo, che sfocia schiumoso nel bacino a sei corsie di Sukhumvit, con i suoi megamall, gli ipermercati, gli svincoli, gli incroci, le aree di servizio.
E’ di nuovo l'inizio...è già la fine.

martedì 13 novembre 2012

Satira censurata...brutta storia!

Una scrittrice italiana ha fatto un viaggio in Thailandia. Incuriosita e divertita da alcuni aspetti del mercato del sesso di quel paese ha avuto un'idea: creare un blog sulla sua cittadina, Camogli, puntando il dito contro autorità, esercenti e cittadini colpevoli di averla in un certo senso sedata, riducendo al minimo le attività, gli eventi, i luoghi e opportunità di incontro, inibendo in questo modo la vita sociale del centro, trasformato, a suo modo di vedere, in un deserto dal lunedì al venerdì.
L'autrice si è immaginata un'inverosimile operazione di rilancio del turismo locale, convertendo Camogli, la località ligure che diede il nome al famoso panino dell'Autogrill, in una fantasiosa città del sesso, come recita appunto il titolo del blog.

venerdì 9 novembre 2012

Fresco come una rosa - dintorni di Urumqi, Cina

Un tizio che si fa una ronfata in strada a Saigon
Ricordi dell'estate 2006

Ehi, guardate lì!
Gli altri si avvicinano al finestrino e osservano stupiti, in silenzio per qualche secondo. Poi, a poco a poco, il turbamento si fa spazio nel gruppo.
Ma è caduto! Forse è ferito, bisogna fermare il pullman e soccorrerlo!
Avrà avuto un malore!
Magari un incidente!
No, no, sta solo dormendo…
Ma come, dormendo? Per terra? Sulla strada? Non è possibile…
Guardate attentamente. La bicicletta e il carretto a rimorchio sono parcheggiati bene, lungo il ciglio della strada e anche l'uomo è steso sul terriccio a lato della carreggiata, parallelamente alla direzione di marcia. Inoltre ha messo qualcosa di morbido sotto la testa e ha cercato riparo all'ombra delle fronde. Dunque dorme. Certo, da noi non lo farebbe nessuno, ma qui, in questa strada di campagna nello Xinjiang, ha senso. Ti viene sonno, quindi dormi, dovunque ti trovi. Al netto di perbenismo e regolette ipocrite se ci pensate ha anche la sua logica. Magari non è sicurissimo, ma i cinesi sono un popolo tanto anarchico quanto ardito, e questo tipo di pericolo per loro è di scarsa rilevanza. 
Magari è sveglio dalle 4 di notte, un riposino non può fargli che bene. Fra un po' si sveglia, salta in sella e si rimette a pedalare verso casa. Fresco come una rosa.

lunedì 5 novembre 2012

La fine del mese - Pattaya, Thailandia

A volte le circostanze producono dei problemi. Nell'ambito di questi problemi nasce poi qualche detto particolare, che cattura, magari anche con un pizzico di ironia, uno scorcio di un'epoca. In Italia i tempi di crisi hanno generato l'espressione non arrivare a fine mese. Si tratta di una metafora, di un piccolo gioco di parole, infatti se tradotta letteralmente in inglese risulterebbe incomprensibile alla maggior parte dei madrelingua. In realtà a fine mese, tranne casi estremi, ci si arriva comunque. Quel che non ci arriva è l'ultimo stipendio percepito. Ma è davvero così?
Ho l'impressione che, casi limite, reali e tragici a parte, la maggior parte di chi la utilizza si stia dilettando con uno degli hobby preferiti dagli italiani: la drammatizzazione degli eventi.
Se è pur vero che con gli effetti della crisi e la crescita dei prezzi il potere d'acquisto di uno stipendio tende necessariamente a diminuire, va anche notato che in molti non si fanno comunque mancare l'abbonamento alla TV satellitare, il telefono touchscreen, l'automobile fighetta, lo scooter, l'aperitivo in piazza, la cenetta fuori, le scarpe carine, i jeans alla moda. Mettendo da parte qualche vezzo a fine mese probabilmente ci si arriverebbe senza bisogno di entrare in apnea.
R, un italiano venuto a trascorrere qualche mese in Thailandia, ha conosciuto T al banco della frutta presso il quale lavora. Hanno cominciato a frequentarsi, T lo va spesso a trovare al suo albergo ma anche a R è capitato di vedere dove vive lei. Un monolocale in un condominio, anzi sarebbe meglio dire un minilocale, visto che si tratta di un cubicolo di quattro metri per tre.

lunedì 29 ottobre 2012

15 ore: una guida raffazzonata all'Aeroporto Internazionale di Mosca (Sheremetyevo)

Che coincidenza malefica, sono appena atterrato a Sheremetyevo e il mio prossimo volo parte fra quasi quindici ore. Quando ho comprato il biglietto avevo in mente un programma diverso e non me ne sono preoccupato. Avevo organizzato una sosta di una decina di giorni a Mosca, ospite di C, un amico che insegna Italiano a studenti russi. C'ero già stato l'anno scorso e me l'ero passata davvero bene. Ho ancora in mente tutte quelle originalità moscovite, il fascino da macchina del tempo di San Pietroburgo e se chiudo gli occhi e mi concentro sento in bocca la vampata della vodka e il sapore acidulo del borscht. Avrei pagato una piccola penale alla compagnia aerea e il problema dell'attesa sarebbe stato azzerato. Purtroppo però il biglietto che avevo comprato era in super-promozione e la piccola penale si è rivelata essere pari alla metà del prezzo iniziale. Considerando che ci sarebbe stato da aggiungere il costo del visto e che recentemente ho dovuto sostenere altre spese impreviste, ho dovuto rinunciare.
Quindidici ore quindi. Ho avuto il tempo di visitare la struttura in lungo e in largo. Mi sono mosso tra i terminal D, E e F, che sono gli unici a cui si può accedere senza attraversare la dogana. E' comunque un'area molto estesa, per percorrerla dall'estremità est del terminal F a quella ovest del D ci si può mettere anche più di mezzora, a seconda dell'affollamento e delle distrazioni. Inoltre il posto presenta le sue curiosità.

venerdì 26 ottobre 2012

Una barzelletta reality sul mondo del lavoro

Un'amico mi ha raccontato una sua nuova barzelletta...l'ho trovata fantastica!
L'amico sta ridiscutendo il contratto di lavoro con l'azienda per cui lavora da anni. Quando chiede delucidazioni a proposito delle condizioni di rescissione l'addetto del personale gli risponde che non deve assolutamente preoccuparsi di queste faccende, non serve essere specifici e cautelarsi troppo nella stesura delle clausole perché in Italia il diritto al lavoro è assolutamente garantito dalla costituzione. HAHAHAHA! bella no?

venerdì 19 ottobre 2012

Mini Venezie

Ieri è stato il primo giorno completamente uggioso, grigio, piovoso, freddino e umido da quando sono arrivato a Padova più di un mese fa. L'ho trascorso interamente a casa. Temevo che la mite e luminosa pacchia fosse terminata e che l'autunno padano mi avrebbe accompagnato fino all'aeroporto Marco Polo, da dove ripartirò per i tropici fra tre giorni. Invece no, oggi c'è il sole, il cielo è terso, posso finalmente mettere in pratica quel piano che credevo di dover rimandare all'anno prossimo. 
Arrivo a Chioggia in corriera e faccio due passi in centro mentre aspetto il vaporetto. E' bella Chioggia, con le calli, i canali, i ponti in pietra d'Istria, le case rosse con i fronzoli bianchi. Sembra una piccola Venezia, anche se qui ci passano le auto. Non ho visto molti turisti, a parte un paio di nordici che si facevano uno spritz. Mi siedo a poppa, all'aperto, ad osservare il legno marcio delle briccole, la superficie lievemente increspata della laguna e gli isolotti ruvidi, ricoperti di un'ispida barbetta verde, con la brezza che mi massaggia la faccia. A Pellestrina tutti salgono nell'autobus diretto al Lido, utilizzando il biglietto combinato vaporetto-bus. Io ho speso sessanta centesimi in più e mi sono assicurato due tragitti separati: l'autobus posso così prenderlo quando e dove voglio. Avrei anche potuto noleggiare una bici; lo so, è veloce e il percorso lungo i murazzi, tra mare e laguna, è suggestivo, ma oggi non sono quel tipo di visitatore, non ho voglia di sfrecciare tra i paesini, devo insinuarmi tra le calli, restare impalato in un angolo, osservare la gente, le case, annusare i profumi incrociati provenienti da acqua  e cucine: il mio mezzo di locomozione, economico e flessibile, è di nuovo un paio di scarpe di gomma.

lunedì 15 ottobre 2012

C'è modo e modo (di diventare ricchi)

A chi non piacerebbe diventare ricco? Non necessariamente ricco sfondato, ma moderatamente abbiente, o almeno benestante, possibilmente in misura (rispettosamente) abbondante. Potersi permettere di abbandonare gli impegni più seccanti, mollare la zavorra dell'attività che garantisce il sostentamento, dedicarsi finalmente ai propri interessi senza più avere l'assillo delle risorse (troppo) limitate. O magari continuare anche a farsi il mazzo, ma per una causa, un'idea vincente, un progetto ambizioso e redditizio.
Ricchi, sì, va bene quindi. C'è però modo e modo. Il primo è quello nobile, fondato sulle grandi idee, l'innovazione, lo spirito imprenditoriale, la genialità, la capacità di vederci dentro, più avanti degli altri, la forza di credere nella propria visione e intuizione.
E poi c'è l'altro. Di metodo per fare i soldi intendo. l'Italia è piena di mediocri ricconcelli muniti di un unico talento: la spregiudicatezza. Segni particolari: praticare un'incisione sulla pancia e osservare bene, ciuffi di pelo ispido spunteranno qua e là dalle pareti interne dello stomaco.

giovedì 11 ottobre 2012

Lingua franca - Zurigo, Svizzera

Mio fratello vive a Zurigo da anni, il tedesco però non lo ha mai imparato bene. Sa dire qualcosa, fare qualche domanda, abbozzi di conversazioni, poco di più. I motivi sono molti: viaggia spesso all'estero e coi colleghi, anche in Svizzera, usa l'inglese. In Svizzera poi non si parla il tedesco "ufficiale" ma una specie di dialetto "montanaro", non facilmente comprensibile. C'è però anche un'altra ragione per cui non ha mai approfondito la conoscenza della lingua locale, ed è molto più sorprendente: dovunque vada, al ristorante, in un negozio, in un ufficio pubblico o per la strada, la probabilità di incontrare qualcuno che parli italiano è molto elevata. E non stiamo parlando dei ticinesi, gli abitanti del cantone di lingua italiana, svizzeri al 100% da generazioni, orgogliosissimi delle loro origini e a cui in alcuni casi gli italiani non stanno nemmeno troppo simpatici. Qui si tratta di veri e propri abitanti di Zurigo, gente della Svizzera tedesca. Bisogna ricordare che i grandi flussi migratori dall'Italia alla Svizzera risalgono al periodo 1945-75, principalmente dal nord fino al '60 e dal centro-sud nel periodo successivo. Chi a Zurigo oggi vi parla in italiano è quindi il figlio o il nipote di un immigrato, o spesso persino qualcuno nelle cui vene non scorre nemmeno una goccia di sangue italiano, gente che la nostra lingua l'ha imparata a scuola, con gli amici, in vacanza o per passione. 
Quando mio fratello mi raccontava queste cose io non mi rendevo conto dell'entità del fenomeno. Mi è capitato molte volte di incontrare dei discendenti di siciliani, marchigiani o veneti nati in Argentina, Brasile, Stati Uniti o Australia. Hanno il cognome italiano, magari persino il passaporto, ma di italiano sanno dire al massimo dieci parole. Non appena arrivato in Svizzera mi sono accorto che in quel paese la situazione è radicalmente diversa. 

lunedì 1 ottobre 2012

Immagini bizzarre/1

Scene buffe e/o bizzarre osservate e immortalate personalmente

Ammazza che caldo ai tropici, ci vorrebbe un angolino fresco fresco. Una bacinella di ghiaccio è proprio quello che fa per me! (Bangkok, Thailandia)

Vi scappa la pipì? Arrampicatevi sul toilet-albero e via! (Saigon, Vietnam)

Dove ho poggiato il mio pasticcino? Ah eccolo lì...EHHH? OH NO! (Bangkok, Thailandia)

mmm...buono il sushi! (Pattaya, Thailandia)

lunedì 24 settembre 2012

Cittadinanza italiana a punti

Mi è capitato a volte di incontrare dei figli di stranieri, nati e cresciuti in Italia. Mi fa ancora un effetto strano. Non veniamo dall'America o l'Australia, dove queste situazioni si presentano da decenni. Da noi il fenomeno è ancora piuttosto nuovo. Ascoltare quello che sembrerebbe un indiano parlare con l'accento bolognese o una cinese che apre e chiude le vocali "al contrario", come una perfetta milanese, mi sorprende e affascina ancora parecchio. L'imperturbabilità in questi casi non mi riesce proprio di sfoggiarla.
I segni delle loro origini li portano evidenti sulla pelle, sui lineamenti, i capelli, la statura. Poi però ti spiegano che si sentono italiani, perlomeno in percentuale molto alta. Molti di loro non parlano la lingua dei genitori, si sentono a disagio quando stanno a tavola con i loro parenti lontani, preferiscono una pizza con gli amici italiani.
Eppure sono stranieri a tutti gli effetti. Hanno la cittadinanza dei genitori e vivono in Italia con un permesso di soggiorno. Parlano italiano perfettamente, hanno frequentato la scuola italiana, fin dalle elementari, hanno studiato storia, letteratura ed educazione civica italiana. Qualcuno non ci ha capito un gran che? Certo, così come molti italiani "veri". Beh, tutto ciò non conta nulla. La cittadinanza a loro non gliela danno quasi mai. Le loro domande si perdono tra procedure intricate, cavilli assurdi e strati di polvere depositata su scrivanie di funzionari pubblici recalcitranti. Il passaporto italiano è meglio darlo a un sudamericano o un australiano che vanta un trisavolo del Regno Lombardo-Veneto o di quello delle due Sicilie, magari pure tarocco, che non parla una parola di italiano e non sa nemmeno se l'Italia è una repubblica o un regno. Migliaia di passaporti sono stati distribuiti in quel modo negli ultimi dieci-vent'anni.