lunedì 31 ottobre 2011

Flessibilità - Mosca, Russia

Il rubinetto perde, l'impianto elettrico non funziona, il forno è rotto o devi installare delle tende in salotto. Il professionista è caro e si fa desiderare: se lo chiami oggi arriverà fra un mese. Nessun problema, c'è il marito a ore. Non stiamo parlando di relazioni extraconiugali o poligamia. Chiami un tizio di cui hai trovato il numero chissà dove, uno che non ha una specializzazione ma sa fare un po' tutto, proprio come i buoni mariti di una volta. Al telefono gli spieghi cosa deve fare e fissi il prezzo, lui arriva a breve, con tutti gli attrezzi e i materiali necessari. Se non sapeva come risolvere il problema si è fatto insegnare il metodo o ha mandato un collega più qualificato. Risolve, lo paghi (a prezzi ragionevoli), arrivederci.

Devi traslocare, spostare un mobile nell'appartamento di tuo zio o sbarazzarti di qualcosa di ingombrante. Sei da solo, non ce la puoi fare. Scendi le scale, esci sul marciapiedi e ti guardi attorno. Appena vedi un immigrato dalle repubbliche orientali dell'ex Unione Sovietica - un kazako, un uzbeko, un tagico - lo fermi.
"Salve, dovrei spostare un mobile"
Lui sa già tutto e non si scompone. Non pensa che sei pazzo né si scompiscia dalle risate.
"Quanto grande? Quanti piani? Dove?"
Spieghi, contratti e lo accompagni. Se servono rinforzi li chiamerà lui.

Hai fatto tardi a una festa, non sei venuto in auto perché sapevi che avresti bevuto un bicchiere di troppo, abiti un una zona non ben servita dai mezzi. Il taxi è caro, e poi bisogna prenotarlo in anticipo. Scendi, ti piazzi al bordo di una strada principale e tiri fuori il braccio, agitando la mano. Non al primo taxi che passa, alla prima auto! Così, a caso. Se non è una Jaguar o qualcuno che va di fretta si ferma di sicuro. E se non si ferma questa lo fa quella che segue. Spieghi al tizio dove devi andare, lui propone un prezzo, se pensi che sia troppo rilanci. Quando vi siete messi d'accordo sali. Non è passato nemmeno un minuto.

Chi l'avrebbe detto che un giorno avremmo invidiato l'ex Unione Sovietica per la sua flessibilità?

giovedì 27 ottobre 2011

Segreto e mistero - San Pietroburgo, Russia

Seguo il flusso umano che scorre senza sosta sul marciapiedi della prospettiva Nevsky fino a quando si diffonde nello spazio immenso che circonda l'Ermitage, poi svolto a sinistra, diretto alla Cattedrale di Sant'Isacco. Quando sono a poche decine di metri da questa versione russa di San Pietro, con la coda dell'occhio noto un foglietto appiccicato a una porta, seminascosta dall'impalcatura dei lavori di restauro del palazzo. Museo di storia della polizia politica. Praticamente un asteroide fortemente magnetizzato davanti al quale mi tramuto in una spilletta per capelli. 
Anche la chiesa però tira parecchio. Resto qualche secondo sul posto, la coscia che traballa seguendo degli impulsi alternati che mi spingono di qua e di là. Elaboro le poche informazioni che ho messo assieme e prendo una brillante non-decisione, rimandando: un classico in questi casi. Il museo chiude alle 18.00 ma dalle 17.30 non si vendono più biglietti. Ho ancora trenta minuti e la cattedrale è a due passi. Vado prima lì e vedo che mi dice: se mi sussurra parole dolci nell'orecchio solleticandomi lievemente il lobo mi ci fermo, altrimenti torno indietro. E così è, solo che per rendermene conto ho impiegato venti minuti abbondanti. Quando apro la porta d'ingresso al palazzo del museo sono già le 17.26. Dopo aver provato due corridoi ciechi imbrocco quello giusto, abbasso la maniglia ma la porta non si sposta. Faccio per andarmene quando sento qualcosa che sferraglia e una signora esce dalla stanza.
"Che c'è?"
"Vorrei visitare il museo."
"Mi spiace, è tardi."
Mormoro qualcosa adottando un'espressione commovente. Lei borbotta qualcos'altro con fare indeciso. E' il segnale che aspettavo, mi avvicino. 
"17.30, orario di chiusura." Dice lei, mentre un'altra signora sbuca dall'entrata incrociando gli avambracci come qualche tipo di arbitro per farmi capire che il museo è chiuso. Mostro l'orologio che segna le 17.28. Lancetta in d4: scacco matto!
"Va bene, seguimi!"
L'esposizione è commentata per il 95% in russo ma la signora mi consegna una dispensa di fogli plastificati con le mappe di ogni parete e le relative didascalie in inglese. Una buona idea che però la dice lunga sullo scarso numero di turisti stranieri che visitano il museo. 
Sono sempre stato affascinato da tutto ciò che ha a che fare con i lati più opachi, sinistri e controversi della storia. Passo in rivista le foto in bianco e nero, fermandomi in adorazione davanti a quelle che mi emozionano di più, leggendo le spiegazioni sulle preziose dispense che sfoglio in avanti e indietro. I tempi delle spie zariste, poi i bolscevichi e la ristrutturazione di Dzerzhinsky. La sua morte, le immagini di Trozky, Stalin, Bukharin e Molotov che trasportano la bara. La CHEKA, il KGB, la guerra fredda, la crisi dei missili di Cuba e gli scambi segreti di prigionieri con gli USA. Le missioni in Afghanistan e Cecenia, il terrorismo interno, l'FSB e finalmente i giorni nostri. 
Nella stupenda sala che fu di Dzerzhinsky mi imbatto in un gruppo con guida. Ma vedi che scelta azzeccata, decidendo di visitare il museo mi sono preso cura di due hobby in un colpo solo: la storia dello spionaggio e le belle donne (l'hobby in questo caso consiste soltanto nell'ammirarle, ovviamente). Ora tra una foto e l'altra non riesco a non lanciare un'occhiata a tre o quattro esemplari di queste stangone che da quando sono arrivato in Russia mi tormentano i pensieri. La loro guida però è una vecchia pedante e logorroica: me le lascio dietro e dopo pochi minuti sono nell'ultima sala, dove la signora della biglietteria, che già era venuta ad aiutarmi prima, mi fornisce altri utili approfondimenti. Indossa un paio di pantofole, le calze pesanti, una gonna-plaid, un maglione infeltrito e occhiali da medico di famiglia. Niente trucco e i capelli sono raccolti, ovviamente. Mi fa pensare a una bibliotecaria da film di serie B, ma anche un po' a Nonna Papera. E' gentilissima. Sminuisce il bel gesto spiegandomi che devo l'opportunità di visitare l'esposizione fino a ben oltre l'orario di chiusura al gruppo di sventole che ho appena visto: avrebbe dovuto comunque aspettare che loro se ne andassero. Chiedo se c'è un guest book e mentre sto scrivendo i miei commenti, scegliendo con cura le parole, mi chiede di non menzionare il fatto che mi ha aiutato personalmente.
"Non sono un'esperta."
"Ma se è stata bravissima!" Rispondo pensando che si tratti soltanto di falsa modestia.
"Conosco qualche dato ma non ho una buona visione di insieme. E poi potrebbe crearmi dei problemi coi miei superiori."
Sembra quasi che si sia fatta risucchiare dall'atmosfera di segreto e mistero che avvolge il posto, come se anche lei tramasse tra le maglie di un'organizzazione che agisce nell'ombra.
"Ah no, allora niente..."
Concludo scrivendo comunque che il personale è molto gentile ed educato. Dovrebbe essere un complimento piuttosto discreto e neutro.
Do un'ultima occhiata alle sventole stivalate che una dopo l'altra affluiscono nella sala e poi esco, mentre le braccia potenti del clima del Baltico mi tirano delle gelide nerbate sul viso. E pensare che è soltanto ottobre. Un ottobre poco rosso, ma piuttosto grigio.

Foto "Colonna di Alessandro, sedia e zaino" di Fabio

lunedì 10 ottobre 2011

Elezioni e truffe - Bangkok, Thailandia

Luglio 2011. E' tempo di elezioni in Thailandia. Un'ondata continua di gente converge sulle grandi direttrici di Bangkok - Sukhumvit, Vipawadee, Pahonyothin - diretta verso le province di provenienza, che nella maggior parte sono quelle dell'Isan, a nord-est, verso il Laos.
Passeggio con A., l'accompagno a prendere il taxi che la porterà a Mochit, una stazione degli autobus oggi immersa in un caos da aeroporto internazionale in periodo di grounding. Un autista di tuk-tuk offre il suo servizio per 300 baht, quando normalmente utilizzando un taxi col tassametro la tratta dovrebbe costarne 100-150. Lo liquidiamo in fretta. Anche il primo tassista le chiede 300 baht. Lei lo lascia andare, poi ne ferma un altro. Stessa storia. E così anche col terzo, e un quarto.
Avverto un odorino strano, un fetore che mi ha stuzzicato le narici spesso in passato. Seguo l'istinto, come fosse uno di quei fili di fumo pedinati dai nasi lunghi e vibranti dei cartoni animati. Mentre lei fa due passetti verso il centro della carreggiata per fermarne un altro io resto sul ciglio e osservo attentamente. Quando lei si avvicina al finestrino per parlare col conducente il proprietario del tuk-tuk che la voleva truffare si sbraccia verso lo sconosciuto collega e gli fa segno di chiederle 300 baht. L'altro segue il consiglio e A., ovviamente, non accetta.
Questa volta ti ho visto, lestofante da strapazzo. Prendo A. per un braccio e l'accompagno cento metri più in là. Lei mi segue - incredula mentre le racconto ciò che ho visto - a distanza di sicurezza dal manigoldo, dove un tassista - onesto come la maggior parte di quelli che non ronzano attorno ai turisti - acconsente ad accompagnarla utilizzando il tassametro.
"Un thailandese non si dovrebbe mai comportare così...con altri thailandesi poi...", continua a ripetere fino a quando la porta si chiude.
"...con nessuno..." penso io, mentre la saluto.
Non riuscirà a tornare a casa e ad andare a votare perché tutti i posti in autobus fino al mattino successivo sono stati venduti, ma almeno è riuscita a tenersi stretta la dignità. E pure qualche banconota.

Immagine da globalvoicesonline

giovedì 6 ottobre 2011

Dagli alcolizzati/4 - Bangkok, Thailandia

L'intera serie "Dagli alcolizzati" è dedicata a Jack London, autore di "Memorie di un bevitore" (Titolo originale: "John Barleycorn").

Continua da qui.

Sono seduto dagli alcolizzati con R. Beviamo un bicchiere prima di immergerci nella notte viscosa di Bangkok. R. si alza e va a ordinare una bottiglia di soda e del ghiaccio dalla ragazza con la faccia deturpata dalle occhiaie. Di passaggio lancia anche una battuta alla donna costantemente ubriaca. Errore tattico, non tipico di un tipo accorto come R. Questa, sentendolo parlare, pur non capendo una parola si scrolla di dosso il torpore, dà un'occhiata attorno e il suo radar annebbiato, chissà perché, si ferma quando ha identificato me. La tengo sotto controllo senza fissarla, facendo finta di guardare altrove e augurandomi - come un liceale davanti alla professoressa che scorre i nomi sul registro per decidere chi interrogare - di diventare una presenza invisibile e passare inosservato. Vana speranza, ingenuo che sono a volte. Si alza con fatica, caracolla rischiando di abbattere i tavoli e le bottiglie lungo il cammino e precipita con un tonfo pesante sulla sedia di R., proprio di fianco a me. Mi guarda e mi sorride, col fascino di una sirena, una sirena vecchia e devastata dalla decadenza, dalla vita di strada e dall'alcol. Poi farfuglia qualcosa. Quando sto cercando di capire in che lingua sta parlando una zaffata carognesca mi stritola la gola. Il puzzo continua ad aleggiare anche quando chiude la bocca: non è soltanto l'alito, è un odore che ha impregnato nella pelle e negli abiti, che si porta costantemente addosso. Un po' come quello emanato da chi mangia troppo aglio.
R. si accorge di cosa sta succedendo e mi viene in aiuto. Lei sorride anche a lui trasformandolo da soccorritore in secondo prigioniero. Subito dopo arriva anche la ragazza delle occhiaie che poggiato il secchiello del ghiaccio e la bottiglia di soda le si rivolge in thailandese scandendo le parole, così che anch'io riesco a capire bene cosa dice.
"Hey, questi sono amici!" Beh, proprio amici magari no, ma come stratagemma per toglierci dall'impiccio glielo concediamo. Annuiamo accondiscendenti.
"Con loro non ci puoi provare...capito?"
L'orrore si impossessa della nostra immaginazione indifesa e impressionabile. Provare a fare cosa? Il pensiero che qualche turista stordito dal Sangsom se la possa essere portata in albergo per una manciata di baht mi avvinghia lo stomaco e lo strattona, avanti e indietro, di lato e per linee oblique. L'ammonizione però ha effetto e l'ubriacona si alza e se ne va, il suo orgoglio apparentemente intatto. Il sollievo mi rilassa la pancia. R. si siede di fianco a me e ricominciamo a chiacchierare, versandoci un altro bicchiere, mentre la brezza del ventilatore soffia il vapore del ghiaccio verso gli alberi e la strada bagnata.

Continua?

Foto di Lachlan Hardy (CC)

lunedì 3 ottobre 2011

Segnali buffi/3

Spesso mi imbatto in segnali, cartelloni, scritte o etichette divertenti. Quando capita mi assicuro sempre di non andarmene senza una foto. Le propongo a rate anche qui.

La tradizionale pizza francese? Certo, certo, poi servono anche delle autentiche specialità italiane: baguette, quiche e croque monsieur. (Kuala Lumpur, Malesia)

...e il tempio di Pippo invece è a sinistra! (Isola di Lantau, Hong Kong)

Benvenuti...un'altra volta??? (Walmart, Kunming, Cina)

OrganisN! Peccato, ce l'avevano quasi fatta: l'avevano scritto giusto fino all'ultima lettera...tra l'altro questo bidone ti ringrazia quando vi getti i tuoi rifiuti. (Green Lake, Kunming, Cina)

Qualche errore qua e là. (Caffè a Kunming, Cina)

Reacestate??? Ma questi di preciso che vendono? (Agenzia immobiliare a Kunming, Cina)

Il signore si sta facendo fare un massaggio e, come segno di apprezzamento, regge il listino prezzi del centro. (Bangkok, Thailandia)

Qui bisogna fare la guerra per arrivare al secondo (2ed???) piano. (Walmart, Kunming, Cina)

Superman dorme, ma la Super polizia thailandese non lo fa, non l'ha mai fatto e mai lo farà! (Bangkok, Thailandia)

Mi avanza una "S", dove la metto? Hmmm...numberS...passengerS...ofS? Ma sì: numberS! (Catamarano superveloce thailandese)

Sei un fumatore? Questa è la quantità di catrame accumulatasi nei tuoi polmoni dopo 3 anni. Da brividi! (Singapore)

Potete trovare gli altri segnali buffi qui.