giovedì 26 maggio 2011

Motociclette e patate - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di kibuyu (CC)
Finalmente fuori dal centro di formazione. Con quel vago senso di ebbrezza causato dall'aria fresca dopo una giornata di immersione in un mare di aria condizionata cammino verso casa quando il tipico suono metallico prodotto da un incidente stradale - la sua inconfondibile variante motociclo-contro-veicolo-a-4-ruote - mi pianta le unghie nei timpani. Mi volto e vedo un motorino tipo Honda Dream che carambola tra le auto incolonnate come la pallina di un flipper tra le molle dei funghetti a sonaglio. Ha già colpito un furgone quando inizio a osservare la scena, quindi prosegue tra due file di veicoli rimbalzando alternatamente sulla carrozzeria di un'auto a destra e una a sinistra, fino a che non trova uno spazio vuoto, ci si infila come un moscone nello spiraglio di una finestra e prosegue lungo la rotta che lo porterà a collidere con il paraurti di una berlina giapponese, non ci sono speranze, lo leggi sulla faccia del tizio e nei movimenti che tenta di imprimere al manubrio: ormai ha perso il controllo del mezzo e non riuscirà a evitarlo. A giudicare dallo scintillio di vernice e cromature questa macchina deve avere gli interni che odorano ancora di nuovo (è un odore quello, non una puzza, ma nemmeno un profumo, nel mondo dell'automobile solo la benzina e qualche fragranza di Arbre Magique profumano).
Quando l'impatto avviene l'uomo alla guida fa ciò che molti fanno in questi casi, anche se sarebbe la prima cosa da evitare: continua ad accelerare. Il motorino si inclina e cade lentamente al suolo. L'uomo si poggia a terra goffamente, ma senza farsi male. La moglie che siede sul retro invece piomba giù come un sacco di patate. Ci assomiglia pure a un sacco di patate, ma in questo momento è la dinamica del movimento che mi ispira quell'immagine: come si piega sulla sella, picchia sull'asfalto e continua a rotolare quando il mezzo è già fermo, col motore su di giri perché il polso dell'uomo è rimasto ingessato nella posizione iniziale, quella che aveva assunto quando ancora sfrecciava tra le due corsie - con l'originale traiettoria rettilinea intendo, non ancora quella a zig zag - e che non ha più abbandonato.
Il signore si rialza, non si preoccupa di raccogliere le sue patate e pensa invece bene di inveire contro l'autista del furgone, il primo fungo del flipper che ha centrato. Magari la colpa dell'incidente è proprio di questo qui, non lo saprò mai, perché dopo avergli risposto con una tattica diversiva, indicando e gesticolando all'indirizzo di un'auto che è già scomparsa dietro una curva, ingrana la marcia e con gran disinvoltura si dilegua.
Il signore della moto è chiamato a rapporto dai proprietari delle auto che ha strisciato e ammaccato, il sacco di patate si rialza proprio come un sacco di patate tirato su da un contadino e oscilla per qualche istante attorno al suo punto di equilibrio stabile, un po' come una matrioska, prima di assumere la postura eretta. Nel frattempo le patate che riempiono il sacco proprio dove dovrebbero esserci il sedere, il torso e il petto si ridispongono seguendo le leggi della geometria tridimensionale e della gravità, occupando gli spazi liberi della nuova configurazione. Poi, strascicando i piedi (perché nonostante assomigli a un sacco pieno di tuberi non bisogna dimenticare che è pur sempre un essere umano e quindi è dotata di piedi), raggiunge il crocchio animato.
Io li lascio così, dopo aver seguito l'ennesima lezione di Principi ed elementi di società orientali, un mix di menefreghismo, maschilismo, scaricabarile, spensieratezza, ottimismo, fatalismo e altri dettagli che mi verranno in mente più tardi, mentre continuo a passeggiare sotto un cielo plumbeo che parrebbe promettere monsoni ma potrebbe anche regalare solleone.
Spensierato e menefreghista: anche se non mi riesce ancora del tutto naturale so che è un atteggiamento perfettamente idoneo. Dopotutto a trasmettermelo sono stati proprio loro.

Altri incidenti asiatici (vissuti in prima persona) e altre nozioni di sociologia orientale li trovate qui.

lunedì 23 maggio 2011

Nemmeno un cameriere - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di Keven Law (CC)
Osservando con attenzione e tenendo le antenne della propria sensibilità ben sintonizzate si possono captare dettagli interessanti anche in una scena apparentemente priva di originalità. Ne ho un esempio proprio qui davanti a me, in questo ristorante all'aperto. Quella sua solita sequenza di mosse studiate ma eseguite in fretta e con approssimazione, in maniera istintiva, come una lepre che sfugge a un branco di lupi: scuote lo sgabello, china la testa, sgrana gli occhi, dà un colpo col panno umido a un angolo del tavolo di plastica. E' il suo messaggio in codice per il cliente indeciso, blandamente criptato: "mangia da noi, siediti qui, non continuare a cercare, passando oltre, verso il prossimo ristorante della fila immensa che corre lungo tutta Jalan Alor. Resta, vedi come ti sistemo lo sgabello e mi assicuro che il tuo tavolo sia lindo?"
Messaggio che potrebbe essere facilmente frainteso, visto che il cliente potrebbe notare le macchie di unto sullo straccio e pensare "ma se ora hai bisogno di pulirlo quel tavolo significa che prima era sporco, e in che condizioni sarà il resto della superficie (la sua parte più estesa) che non hai ancora strofinato: sporca perché non l'hai pulita o pulita perché lo strofinaccio sozzo non ci è ancora passato sopra?" E magari deciderà di andarsene, per scoprire che il prossimo locale non è certo meglio di questo. Anzi, a conti fatti, essendo ubicato all'inizio della via, questo è forse il migliore, se non altro perché fermandoti qui ti risparmi inutili metri di caos e scocciature, ed è proprio per questo che da qualche anno quando sono a Kuala Lumpur e vengo a mangiare in questa zona scelgo senza nemmeno pensarci.
Ma questo bambolotto, questo peluche, questo cucciolo di procione è davvero irresistibile: dolcissimo, commovente, fa tenerezza e un po' pena. Con quella faccia scura, lo sguardo guizzante, terrorizzato, che sgorga da quegli occhietti da cerbiatto braccato, i movimenti scattanti e il broncio implorante.
Non si può nemmeno chiamarlo cameriere, perché...beh semplicemente perché non lo è. E' qui per fare soltanto quello che sta facendo ora, e che fa ogni giorno: una rete che il proprietario getta in strada per accalappiare il maggior numero di passanti in cerca di un posto per mangiare qualcosa di semplice, genuino e a buon mercato. E magari per farsi pure una birra all'aperto. Lui è qui per far finta di sistemare il tavolo e aprire un menu dalle pagine plastificate e unte davanti ai clienti. Per poi fuggire, prima che qualcuno gli faccia una domanda a cui non saprebbe rispondere, lasciando che i camerieri, quelli veri, che parlano inglese, malese, mandarino e altri tre o quattro dialetti cinesi, vengano a occuparsene.
Perché lui è solo un povero immigrato, probabilmente birmano, come i tanti che arrivano qui e in altri paesi dell'area alla ricerca di una vita migliore e che, almeno per qualche anno, trascorrono trenta giorni al mese scuotendo sgabelli e strofinando tavoli, lavando cessi, trasportando secchi, spaccando strade e rovistando tra la spazzatura. Qualcuno farà fortuna, perché ha i soldi per lanciarsi in qualche impresa o l'abilità di farsi strada a spallate tra le fronde di quella giungla di opportunità, corruzione, anarchia organizzata, energia, ottimismo e spinta inerziale che è al giorno d'oggi gran parte dell'estremo oriente. Altri invece se ne torneranno a casa, ma non a mani vuote, perché il gruzzoletto di valuta pregiata che avranno accumulato qui, nel loro paese varrà come un piccolo tesoro. In fin dei conti è quella che in inglese si chiama una situazione win-win. Comunque vada, vinci sempre. Soprattutto se sei partito da zero.

sabato 14 maggio 2011

Pensieri ammazzatempo/13

Foto di Brandon Cristofer Warren (CC)
- Tra falsa apertura mentale e genuina arretratezza non ho alcun dubbio: meglio la seconda.

- Stammi a sentire, è molto semplice: ti sembro uno sfigato perché SONO uno sfigato. Secondo i tuoi standard e valori, perlomeno, lo sono di sicuro...

- Modestamente - e incoscientemente - parlando, credo di essere una delle persone più libere che conosco. Mi schiavizzano soltanto alcuni miei vizi e si tratta, dopotutto, di cose di poco conto.

- Siete a bordo di un treno, comodo, caldo, l'illusione di appartenenza potrebbe durare per sempre. Poi arrivate a destinazione e l'idea di dover scendere vi strappa dal sedile come la mano di un gigante. E' un posto sconosciuto, la lingua e la cultura vi sono aliene, non avete prenotato una stanza, non avete alcuna informazione, tutto deve essere scoperto...soltanto una certezza: per l'ennesima volta vi siete rimessi in gioco.

- Un po' tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti come Robert De Niro nel film "Casino": presi per il culo dalla Sharon Stone di turno (questo naturalmente vale anche per le donne, basta scegliere un film diverso, o un romanzo, come esempio).

Potete leggere gli altri pensieri qui