lunedì 27 dicembre 2010

Pensieri sparsi/11

Foto "Thinking?" di galo/* (CC)
- Sapersi accontentare di una vita comune è pur sempre meglio che subirla.

- A volte hai l'impressione che ti sia rimasta soltanto una lisca di cuore.

- Quando sei in un posto che non conosci cerca di non trasformarti in un problema: non si sa mai come potrebbero decidere di risolverti.

- Sei in Asia, seduto a un ristorante e osservi i clienti del posto che interagiscono col cameriere: ti sfugge qualcosa, una sfumatura culturale, un dettaglio linguistico, una differenza di usi e costumi. Ci pensi, rifletti e all'improvviso capisci cos'è: in vita tua il cibo l'hai sempre chiesto, non l'hai mai realmente ordinato...

- Ciò che mi ha spesso salvato è saper riempire i vuoti con l'entusiasmo. 

Potete trovare gli altri pensieri qui.

P.S. Quest'anno non ho pubblicato alcun post natalizio. L'anno scorso però ne ho scritti tre, sul Natale ai tropici. Li potete trovare qui.

martedì 21 dicembre 2010

Camaleonti paradigmatici

Me li ricordo - come potrei dimenticare - quei neolaureati che scrivevano alle aziende quello che i dirigenti volevano leggere, con i loro cv perfetti, i percorsi di carriera tracciati con minuzia di dettagli, costruiti su previsioni di un futuro che non si è mai avverato. E tutte le loro informazioni sul mondo del lavoro, che sembrava quasi potessero manipolare. Lodavano l'avvento della new economy prima che vaste zone del suo corpo incancrenissero per divenire fossili precoci, ci catechizzavano su investimenti azionari sicuri e redditizi prima delle crisi di borsa a raffica, proclamavano il primato della finanza sull'industria, il lavoro, i prodotti, i servizi e le idee innovative prima che i trucchi e il marcio di quel mondo venissero a galla come escrementi dal fondo del mare. 
E si arrampicavano - probabilmente lo fanno ancora - sulle pareti degli organigrammi, puntando i piedi su pioli di scale umane, ostinandosi a chiamarle "risorse" quando invece "mezzi" sarebbe stato più appropriato, nuotando come squali che divorano piccoli pesci nei fantozziani acquari privati di predatori più grandi e feroci di loro. 
Oggi languono spesso in carriere statiche, stagnanti, stantie, sta-varie-altre-cose, annaspando nella melma aziendale che a poco a poco ha inghiottito le loro anime. Fingono di non aver mai fallito, evitando riferimenti al passato e avvolgendo il presente con un entusiasmo che ormai è soltanto un sacco per l'immondizia. Le loro frasi vuote a effetto non ci sorprendono più e finiscono soltanto per proclamare la calcificazione del loro approccio, così come il nostro sorriso - muto e assordante - dichiara semplicemente voglia di non infierire, non certo timore, riverenza o mancanza di coraggio. 
Anni fa le nostre lettere sono state spesso ignorate, cestinate o passate al tritadocumenti. Non capivamo nemmeno i loro falsi consigli, confusi dalla nostra innocenza e abbagliati dalle loro fesserie tecnicistiche. A volte abbiamo ripiegato su lavori che magari non ci piacevano, ma si sa, qualcosa bisogna pur fare. 
La nostra mancanza di preparazione e pianificazione ci ha resi vulnerabili alle calamità della precarietà, ma col tempo ci siamo adattati alle nuove condizioni, abbiamo imparato, fatto esperienza, siamo cresciuti. Da questo processo è nata così una nuova specie. In un mondo che divora oggi ciò che ieri sembrava fantascienza - inghiottendo, rigurgitando, ruminando, digerendo ed espellendo nuovi orizzonti a ritmi vertiginosi - ci siamo fatti spazio noi: i camaleonti paradigmatici. 
Potremmo estinguerci prima ancora di trovare il nostro spazio nella biosfera del mercato. Ma non è detto, non è ancora detto. A differenza di loro abbiamo ancora qualche carta da giocare. E potete contarci: ce la giocheremo, qualcuno lo farà.

mercoledì 15 dicembre 2010

Rilassamento - Kuala Lumpur, Malesia

Birra su un tavolo a Jalan Alor
Lo sgabello di plastica è piccolo e duro, il tavolo è inclinato e traballa, venditori ambulanti scocciano i clienti con cestelli di legno, penne laser e fazzolettini di carta. La strada è sporca e disordinata e a ogni istante ti aspetti di veder uscire un topo da un buco nel marciapiedi, diretto verso un osso che giace poco distante dalla tua scarpa. 
Mi siedo comunque: all'istante newton di tensione cominciano a sgorgare da qualche punto posto al centro del mio corpo, emergendo in superficie, scorrendo lungo la pelle dei miei arti, la linea della spina dorsale, per raggiungere la plastica di sedia e tavolo, scendere verso l'asfalto e scomparire all'interno delle fogne cittadine. Qualche sostanza tossica sublima inoltre dalla mia testa, come se avessi appena camminato sotto la pioggia tropicale e una volta raggiunto il riparo colonnine di vapore si sollevassero con lentezza dal mio cuoio capelluto. 
All'improvviso sono rilassato, lo sento specialmente nella mia schiena che mi ringrazia con un dolce formicolio. E non sapevo nemmeno di non esserlo. 
Non è soltanto per la varietà del cibo o la birra a buon mercato, è anche per godermi questa reazione del mio corpo che vengo così spesso in questo ristorante a Jalan Alor.

venerdì 10 dicembre 2010

Solo nel sud-est asiatico - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di Mugley (CC)
Cammino lungo Jalan Alor, una strada semi-pedonale costeggiata da ristorantini tradizionali. Osservo le insegne a destra, mi faccio distrarre da una ragazza che mi si avvicina con un menu da sinistra e poi il piede scivola su qualcosa: un oggetto viscido sotto e morbido sopra. La sensazione è quella di aver calpestato un tappetino poggiato su una chiazza d'olio. Do un'occhiata al suolo, c'è solo una macchia di un grigio poco più scuro di quello dell'asfalto. Chino la testa e osservo meglio: sembra la pelliccia di un animale. Poi noto due piccoli oggetti a forma di stella, una protuberanza lunga e sottile, dei chiaroscuri qua e là...ogni dubbio è dissipato: la cosa che ho calpestato è la poltiglia di un topo, che schifo. L'idea di entrare in casa con la suola contaminata mi turba un po'. 
Alcuni metri più in là trovo una pozzanghera, è l'acqua stagnante accumulatasi durante l'ultimo acquazzone: è sporca, sì, ma un topo potrebbe farcisi un idromassaggio. Ci piazzo dentro la scarpa, la scuoto un po' e quindi riparto. Sul marciapiedi della strada principale delle gocce cadono da un terrazzo e formano un rivolo tra i piastroni di cemento: non conosco di preciso la natura e l'origine del liquido ma lo utilizzo per dare un'altra sciacquata alla gomma sozza. Poi il caso mi fornisce l'arma per il colpo di grazia. Un ristorante ha appena chiuso e i camerieri hanno organizzato una saponata da caserma per pulire i metri di marciapiede di loro competenza. La mia scarpa da tennis passa in mezzo alla schiuma come una macchina all'autolavaggio. Col caldo che fa il materiale sintetico si asciuga proprio mentre sto entrando nel mio condominio.
Il sud est asiatico è sporco, nessuno lo nega, ma se lo osservi senza disprezzo e impari a conoscerlo gli elementi stessi della sua trascuratezza ti forniscono anche i mezzi per ripulirti.

martedì 7 dicembre 2010

Omaggio al pedone/2: la mutazione - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di Steve Webel (CC)
Verde, via! Si diceva così quando eravamo neopatentati e avevamo il fratellino minorenne a bordo. A Kuala Lumpur invece se vesti i panni del pedone ti tocca pensarlo a qualsiasi età. Anzi, più i riflessi si fanno lenti più ti tocca giocare d'anticipo.
Sto aspettando il verde per attraversare Jalan Sultan Ismail, una grossa arteria cittadina che taglia in due il distretto d'affari. Ecco il segnale, a gradi falcate cerco di prendere a calcioni un brutto presagio. L'omino verde lampeggia fin da quando si è acceso e sembra che non ci sia proprio tempo da perdere. Appena passato il cordolo della mezzeria succede quel che temevo: scatta il rosso. Penso che sia un'altra mossa degli astuti membri delle istituzioni per costringerci a sgombrare l'incrocio in fretta. Ma confido sul fatto che ci lasceranno comunque un intervallo di tempo sufficiente a metterci in salvo prima di dare il via ai veicoli che sgommano sulla linea dello stop. Invece no, gli danno il verde! Sono costretto a completare il tragitto con tre poderosi salti di camoscio.
Ma che calcoli hanno fatto? Hanno ingaggiato Carl Lewis come consulente per i test? 
Forse contano sul fatto che la gente si fermi sul cordolo, utilizzando due turni di verde per completare l'attraversamento. Potrebbe però esserci dietro una sordida cospirazione dal fine ultimo agghiacciante: il totale sterminio dei pedoni, una specie ingombrante, fastidiosa e comunque non strettamente necessaria. Ne attirano quindi il maggior numero di esemplari in una trappola sistemata in mezzo alla strada, come quella in cui sono caduto io, per poi liberare le loro belve motorizzate, assetate di sangue pedonifero dopo essere state costrette a lunghi secondi di astinenza nella gabbia di strisce bianche che le inchiodava all'incrocio.
Ma non hanno tenuto in conto l'intervento di Mr. Charles Darwin, sommo uomo di scienze nonché amico di ogni pedone. La selezione naturale ci trasformerà in solidi gruppi di gazzelle bipedi paradossalmente incrociate con dei ghepardi un po' sbiaditi. Sotto quelle spoglie sopravviveremo e prolifereremo: tra scatti, balzi e carreggiate attraversate la lotta continuerà ancora a lungo.
Cari sterminatori, non ci avrete: il genocidio che sognate non è ancora alle porte!

Potete leggere la prima parte qui

sabato 4 dicembre 2010

La scodella mancante - Kuala Lumpur, Malesia

"[...]Le tre grandi scodelle rappresentano la cultura multirazziale della Malesia, armoniosamente unita. Salgono verso l'alto a significare le crescenti aspirazioni della gente. Serenamente l'acqua converge da ogni direzione, fonte inesauribile di benedizione e prosperità[...]"
Sta scritto vicino a una fontana monumentale installata all'entrata del Pavilion, un centro commerciale moderno e lussuoso nel centro del distretto commerciale e turistico di Kuala Lumpur.
Credo che le tre scodellone rappresentino quei malesiani i cui antenati arrivarono dall'Arcipelago Indonesiano, dalla Cina orientale e dall'India meridionale. Che strano, sembrano essersi dimenticati di aggiungere almeno un'altra scodella: quella per la minoranza etnica che era già qui quando i pionieri delle altre tre arrivarono. Gli Orang Asli, i veri Bumiputra, i figli della terra.
Probabilmente il nome ricorderà ad alcuni di voi quello dei famosi primati che vivono nelle giungle del Borneo e di Sumatra: gli Orang Utan. In realtà anche la maggioranza degli Orang Asli abita nella giungla o in zone rurali e, a pensarci bene, dato che il 76% di essi vive al di sotto della soglia di povertà, l'omissione della loro scodella è abbastanza appropriata, se quella scultura deve rappresentare le razze che si dividono il potere politico ed economico del paese, che vivono nelle città, frequentano centri commerciali come il Pavillion e per le quali l'acqua della fontana è una fonte inesauribile di benedizione e prosperità.

mercoledì 1 dicembre 2010

Pensieri casuali/10

Gondola a Venezia, di Fabio
- L'orgoglio è un problema, non una virtù: bisogna risolverlo, non vantarsene.

- Se uno va a Venezia e nota solo l'odore dell'acqua stagnante non deve preoccuparsi per il proprio olfatto: funziona perfettamente! Potrebbe però essere necessaria una visita dall'oculista.

- Per misurare il livello di taccagneria di una persona il tasso di fedeltà al consumismo non è un buon indicatore, meglio utilizzare il rapporto spese/guadagni: tra un individuo che spende 100 guadagnando 100 e un altro che spende 200 guadagnando 1000, chi è il più tirchio?

- Alcuni telefoni cellulari e computer portatili sono ottimi accessori elettronici. Come argomenti di conversazione però sono piuttosto noiosi: meglio utilizzarli che passare il tempo a parlarne.

- Single=solitario=solo=triste...questa serie di equazioni è decisamente sopravvalutata. Per sapere cos'è la vera tristezza basta osservare attentamente la vita di alcune coppie.

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