martedì 28 settembre 2010

Ciò che fa la differenza - Angkor, Cambogia

Angkor Roads, di Un rosarino en Vietnam
60 dollari per un pass di una settimana. Una mazzata, beh almeno per uno che vorrebbe stirare la coperta del suo budget - modesto - su un letto di viaggi lungo due o tre anni. D'altronde non mi andava di visitare Angkor come fa la maggior parte dei turisti che ho incontrato. Uno, due o tre giorni e via. Sveglia all'alba, di corsa da una collina a un tempio, ansimando da una baracca a un monumento, ritorno a ora di cena con i ricordi confusi: dov'erano le radici degli alberi secolari che avviluppavano le mura e le statue? E i bassorilievi? Ma il tempio delle teste a quattro facce come si chiamava: Wat...Wat...Wat qualcosa...
Ecco, io l'esperienza del "Wat qualcosa" la lascio a qualcun altro. Il pass di una settimana mi permette di prendermela comoda - che tra l'altro è uno dei miei hobby preferiti. Di vedere i templi all'alba oggi e al tramonto domani. Concentrarmi soltanto su Angkor Wat un giorno, sul Bayon e il Ta Phrom un altro, sui circuiti dei templi minori in seguito. Tranquillo, rilassato o come dicono qui ...easy. Passando la mattina o il pomeriggio in guest house a leggere, studiare e programmare la prossima visita. O nel centro coloniale di Siem Reap a fare foto, scribacchiare, sbirciare, spiluccare, curiosare, chiacchierare, perdermi, osservare, fantasticare - che guarda caso sono gli altri miei hobby preferiti.
A dire il vero metterò in atto questa tattica soltanto al terzo-quarto giorno. All'inizio il fascino di Angkor si impossesserà di me e, vittima di un'irrefrenabile ingordigia di esperienza e atmosfera, anch'io mi immergerò per ore nella polvere e il caldo che soffocano questo posto. Il primo giorno seguo il procedimento standard: noleggio un motorino con pilota che mi deposita ai templi e mi riprende quando ho terminato. Ho l'impressione di essere un bagaglio con braccia, gambe, cappello e macchina fotografica, carente di cervello e totalmente privo di carattere. Alla fine della giornata mi sento a disagio: ho fatto un'indigestione di nozioni, senza il condimento di esperienza. 
La sera incontro un backpacker giapponese, bardato in maniera classica: occhiali da sole e asciugamano bianco avvolto in testa. Lo chiamerò Akira, in onore di un lungometraggio di animazione che mi affascinò anni or sono. Akira visita i templi in bicicletta. La noleggia in città, percorre di buon mattino il tratto di strada che porta al sito e poi si aggira tra i templi pedalando.
"Ma che differenza fa?"
"Prova e poi mi dici!"
"Allora domattina vengo con te..."
La bicicletta ovviamente costa meno del motorino, buone notizie per i miei risparmi. Sono fuori forma e il mezzo non è certo di quelli che si usano al Tour de France, così sono costretto a procedere piuttosto lentamente. Akira però ha ragione, rispetto al motorino è tutta un'altra cosa. Non me lo sarei aspettato ma ciò che fa la differenza è il sonoro. È come se mi trovassi in un vecchio studio di registrazione e un tecnico avesse abbassato la leva che opera sulla frequenza del motore, alzando le altre. E così ascolto gli uccellini che cinguettano, i bambini che giocano, un signore che sega un pezzo di legno dietro casa, un cane che abbaia alle talpe. Angkor, in pieno stile orientale, è un sito archeologico attorno al quale la gente continua a vivere, con abitazioni, piccoli negozi, scuole. È un'atmosfera magica che senza l'aiuto dei suoni mi sarei completamente perso. Ci metto molto per raggiungere ogni tempio, ma il tragitto è tutt'altro che noioso. Ho il tempo per osservare la vegetazione, la fauna, la vita, i colori, le sfumature. A volte sprofondo in questa nuova Angkor, in questa sua atmosfera ipnotica, a tal punto da non fare in tempo a riemergere prima di raggiungere un tempio, e proseguo quindi per quello successivo. 
Ritorno a Siem Reap in serata. Mi guardo allo specchio: è come se avessi attraversato il Sahara a piedi. Sono imbrattato alla stregua di un ridicolo spazzacamino delle fiabe. Invece di fuliggine la coltre che ho addosso è fatta di polvere di sterrato cementata dal sudore. La maglietta, che normalmente metterei in lavatrice, è irrecuperabile: me la tolgo e la getto direttamente nell'immondizia. La doccia dura quasi mezzora e devo grattare energicamente per rimuovere la crosta che mi avvolge.
Da domani niente più spedizioni di un giorno intero. Mi godrò i templi due o tre ore per volta. Ma la bicicletta, quella trovata semplice e geniale che devo ad Akira, non me la toglie più nessuno.

Angkor, Cambogia, marzo 2002

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