martedì 29 dicembre 2009

Tsunami 2004: è soltanto la vita che funziona così - Phuket, Thailandia

Alla fine del 2004, dopo lo tsunami che colpì l'Asia, scrissi un lungo resoconto su ciò che vidi quei giorni. L'ho compresso di recente in un post di pochi paragrafi.

(Fine 2004)
Sveglia al naturale, è la mattina di Natale. Il corso a Kuala Lumpur riprenderà tra una settimana, compro un volo low-cost e atterro a Phuket. Ho un piano nebbioso che mi porterebbe a Koh Phi Phi, ma cambio idea all'aeroporto: è la stagione super-alta, l'isoletta-paradiso è costosissima e affollata. E questa si rivelerà una scelta fortunata. Alloggio a Phuket town, un po' lontano dalla costa, scelta fortunata numero due. Incontro degli amici ad una festa a Nai Harn, in una casa con piscina, non lontana dalla spiaggia. Verso mezzanotte partiamo per Patong, alla thailandese: in tre su un motorino. La serie di colline offre un film di cartoline: Kata e Karon sono falci scintillanti, sfiorate dalla marea, le palme e la luna. Siamo tra gli ultimi che le vedranno così.

In spiaggia è festa e gironzoliamo fino all'alba. Quando stiamo cercando un angolo di sabbia, dove sdraiarci e riposare all'ombra per un po', cullati dalla brezza e dal suono delle onde, il destino vola basso e ci afferra per il collo, ci mette sulla moto e ci riporta a casa.

Mi sveglio tardi ed entro in un cybercaffe. Quando sto per aprire il sito di un giornale, il telefonino vibra, squilla, prepotente. È mio padre che dall'altro capo del pianeta mi spiega cosa succede a pochi chilometri da qui. Incontro i miei amici e seguiamo i notiziari. Vorrei raggiungere la spiaggia ma mi dicono che è impossibile: non mi perdonerò mai per non averci provato. Vado al centro di soccorso, allestito in fretta al municipio. Ci tornerò spesso nei giorni che seguono. Faccio un po' da interprete e aiuto qualche vittima, parlo e ascolto, osservo e imparo.

Dicono che a Natale la gente si sente più buona, e che coincidenza: è proprio Natale, ma le feste non c'entrano con tutto ciò, la gente è buona a causa della tragedia, buona o cattiva, cattiva e buona. Qualsiasi sentimento ne esce amplificato. C'è una ragazza straniera che si muove tra le tende, urla e posa, piange e ride, ha captato un'opportunità che palpita nell'aria e non resiste alla tentazione di mettersi in mostra. Ma la maggior parte degli ospiti siede in cerchi, alcuni attorno ai bagagli ed altri attorno al nulla, silenziosi e pazienti, aspettano e riflettono. I thailandesi distribuiscono vestiario e cibo. Un bolognese vaga in costume e ciabatte, e questo è tutto quel che gli è rimasto: niente passaporto, contanti, occhiali. Mi chiede informazioni, poi mi sorride e ringrazia. Il dramma non cancella gli anni di bon ton. 

L'atmosfera di questi giorni ha un profilo surreale, è come un vecchio giradischi che accelera da 33 a 45 giri. Senti l'intensità e cerchi di assorbirla, ti riempie il petto e svuota il cervello. Riesco finalmente a contattare alcuni amici che da alcuni giorni cercavo di rintracciare. Un inglese è a Chiang Mai dove si è innamorato, non è mai salito sul treno per il sud. Un altro era a Koh Lanta, è stato colpito dalle onde ma se l'è cavata con qualche livido e dei tagli. Una ragazza thailandese lavora in un resort, di preciso non so come, ma è riuscita a salvarsi. 

Il mondo rallenta, io risalgo la Thailandia, arrivo a Bangkok e da lì volo a Kuala Lumpur. L'intensità cala e le sensazioni si attutiscono, più la situazione ritorna alla normalità più io mi sento vuoto, debole, confuso. 
Ma non c'è da preoccuparsi, non è nulla di strano: è soltanto la vita che funziona così.

PS pochi mesi più tardi peacereporter.net pubblicò anche un reportage che scrissi sugli effetti dello tsunami a Koh Phi Phi

Foto segnale di pericolo tsunami, Koh Phi Phi, di Sergio Pitamitz, da AllPosters,com

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