lunedì 13 ottobre 2008

Un mese sull'ovatta - Padova, Italia

Sono in Italia già da due settimane. Il tempo è un cucciolotto che barcolla sull'ovatta. È l’unico mese dell’anno che trascorro qui. Pur senza fare nulla di speciale, la noia non stiracchia ancora l’elastico delle giornate. Scrivo qualcosa, passeggio, mi faccio coccolare da mamma e papà, rivedo i vecchi amici, riscopro il senso delle serate trascorse a casa, mi aggiro tra le stanze con un libro al guinzaglio.

I libri. Ne ho ripreso in mano uno, comprato e letto anni fa a Singapore. È una cosa che faccio di rado, rileggere i libri. A volte ripenso a un bel capitolo, a una sensazione provata, che voglio rimettere alla prova a distanza di anni, ma c’è quasi sempre un nuovo volume che mi cattura, soffocando il proposito quand’è ancora nella culla.
Questo però è un libro unico, una raccolta di racconti brevi, anzi brevissimi, come dice anche il titolo, “Sudden fiction”. Ogni brano dura non più di due pagine, spesso una soltanto, in cui si concentra la magica pozione ottenuta con un personaggio azzeccato, una situazione tesa, un incipit fulminante seguito da un finale a sorpresa. Divori in un boccone i raccontini che ti piacciono e ti sbarazzi in fretta delle storie con cui non fai click. Un libro che, come e forse più delle altre raccolte, lo puoi leggere indifferentemente in un verso e nell’altro, dal primo racconto a seguire o dall’ultimo a ritroso, se ti va persino a saltelli qua e là.

Oggi in centro c’era una manifestazione. Un gruppo di immigrati sfila urlando slogan contro il razzismo, toccando i punti strategici dell’organismo cittadino: il comune, la prefettura, le piazze e la zona pedonale. A prima vista si tratta di un gruppo omogeneo, ma basta seguirlo e osservarlo un po’ per notare tutte le sue sfaccettature. C’è il leader naturale, che trova un piano rialzato per mettere alla prova le proprie doti di oratoria. Altri danno fondo al loro bagaglio di italiano per spiegare a due vecchietti la propria frustrazione. Ce ne sono alcuni, una minoranza a dire il vero, che si rivolgono ai passanti inermi con parolacce e gestacci. Sarà quel miscuglio di entusiasmo e luci della ribalta a proiettare ai loro occhi un mondo in bianco e nero, la divisione illusoria tra buoni e cattivi, loro da una parte e tutta l’Italia dall’altra. Dimenticando forse che anche nei cortei di questo tipo si annidano agitatori, opportunisti e volta gabbana. “Se questi italiani ci uccidono, uccideremo gli italiani nei nostri paesi” è uno slogan che può traghettarli dalla ragione al torto.
Ma la maggior parte dei manifestanti per fortuna si comporta bene: gridano la loro rabbia ma dialogano con i cittadini. Ce ne sono infine alcuni, con i quali mi identifico un po’, che incontrano una ragazza carina e si scordano del corteo.