venerdì 21 dicembre 2007

Affari fluidi. Chiang Mai - Thailandia, 21 dicembre 2007

Passeggiando per le strade più vivaci e affollate di Bangkok si osservano ad ogni angolo – e ad ogni ora – negozietti, ristorantini e bancarelle ambulanti. C’è chi si dedica ad attività o alla vendita di prodotti legati a tradizioni più o meno antiche, e chi invece si è buttato su idee più moderne e innovative.


Osservando i marciapiedi della stessa via a tre mesi di distanza è poi improbabile non imbattersi in cambiamenti di scenario più o meno drastici. Il panorama va mutando in un gioco continuo di creatività e imitazione.


Khao San Road, ribattezzata la porta d’oriente per essere diventata negli ultimi anni la base di partenza per i turisti stranieri che si apprestano a visitare l’Asia, è il posto perfetto per osservare il fenomeno.


Qualcuno ha piazzato un banchetto che vende fresche spremute d’arancia e l’idea si è rivelata vincente? Entro poche settimane altre quattro famigliole avranno sistemato i loro spremiagrumi a pochi metri di distanza. A volte persino accanto a quello del pioniere, che si adatta senza protestare alla concorrenza dei copioni.


In Thailandia, come in altri paesi asiatici, le attività imprenditoriali si svolgono in maniera fluida e dinamica, senza costrizioni di leggi e regolamenti rigidi, seguendo procedure che magari prevedono semplicemente il pagamento di una mazzetta alla locale stazione della polizia.


Quel che mi è capitato di osservare alcuni giorni fa a Ratchaburi, una cittadina ad un paio d’ore di autobus da Bangkok, oltrepassa però il limite della normalità di casa, debordando nel territorio della comicità involontaria.


Ero ospite a casa di alcuni stranieri che insegnano in una scuola bilingue in città. Un giovane canadese, mentre mi porge una bottiglia di birra Archa ghiacciata, mi prende per un braccio e mi accompagna al cancello dell’ingresso in cortile. Con un movimento della testa mi fa cenno di dare un’occhiata alla casa di fronte. Siamo in un quartiere residenziale, popolato da sole famiglie thailandesi, con l’eccezione di tre case abitate da insegnanti stranieri, una delle quali è quella in cui mi trovo ora.


Appesi alla ringhiera della casa che sto osservando ci sono due cartelli con una scritta in inglese: “Qui vendiamo birra fresca e sigarette”. Altri due identici sono stati appiccicati al muro, di fianco alla porta di ingresso.


Non si tratta di un negozio, è semplicemente l’abitazione di una signora thailandese, che invece di lamentarsi per il baccano proveniente dalla casa in cui i miei amici si intrattengono spesso fino a tardi per fare due chiacchiere e ascoltare musica, ha colto l’occasione per offrire a prezzi di mercato i prodotti che altrimenti si possono trovare soltanto in un negozietto a qualche centinaio di metri da qui. Basta attraversare la strada, suonare il campanello e ordinare. La signora poi raccoglie i vuoti delle birre, che depositati ad un centro di raccolta le garantiscono un ulteriore piccolo guadagno.


L’insegna è in inglese perché gli insegnanti stranieri sono i suoi unici clienti. O meglio, ha aperto l’attività proprio perché c’era questo gruppetto di potenziali clienti.


Un amico thailandese degli insegnanti, che vive poco lontano da qui, non nasconde il proprio rammarico per il fatto che il gestore del negozietto legittimo perde clienti a causa della comparsa della venditrice abusiva. E gli stranieri sono presi tra due fuochi. Comprano infatti la birra dalla signora non soltanto per motivi di comodità ma anche e soprattutto per mostrarle gratitudine per il fatto che non si lamenta del chiasso notturno.


Probabilmente la situazione si risolverà quando il proprietario del negozio deciderà di denunciare il fatto alla polizia. O si svilupperà con una gara di sfruttamento di conoscenze e di elargizione di piccole mazzette a qualche cinico funzionario. Una versione in scala ridotta di quel che accade a Bangkok nel caso per esempio dei proprietari dei club after hour, che pagano le autorità in cambio del permesso di tenere aperti i locali dopo gli orari di chiusura fissati per legge. E che la polizia magari mette l’uno contro l’altro irrompendo nel locale di chi paga meno e facendolo chiudere, scatenando ad arte una corsa al rialzo.


Sono storie che rimandano ad una famosa vicenda che risale a qualche anno fa. Quando un tale Chuwit, magnate dei centri di massaggio, si vide smantellata dalle autorità una qualche struttura facente parte del suo impero. Impermalosito e forte della imponente rete di relazioni e di affari poco limpidi che aveva nel tempo sviluppato con personaggi di spicco, decise di lanciare una battaglia, in gran parte mediatica, a quelli che ai suoi occhi si erano arricchiti grazie ai suoi affari e che ora improvvisamente, per altre ragioni di tornaconto personale, gli voltavano le spalle. Attirò su di sé l’attenzione della stampa e minacciò di rendere pubblica una lista con i nomi degli ufficiali di polizia a cui aveva elargito denari e favori – compresi quelli delle ragazze che lavoravano nei suoi centri – in cambio di tolleranza e protezione nei riguardi delle sue attività.


Il sistema accusò il colpo. Ufficiali di alto livello delle forze dell’ordine rilasciavano quotidianamente dichiarazioni severe e minacciose all'indirizzo di Chuwit, ma tradivano al contempo una certa inquietudine. La storia assunse anche toni melodrammatici quando Chuwit, dopo essere stato ritrovato in stato confusionale ai bordi di una strada di periferia, dichiarò di essere stato rapito e minacciato da alcuni poliziotti. E con il portavoce delle forze dell’ordine che lo accusava di aver inscenato il tutto. Alla fine, come nei migliori casi del genere, il tutto si risolse con Chuwit che creò un suo partito e partecipò alle elezioni dell’anno successivo.

La Thailandia è anche questo. Tutto l’oriente è pure questo. Un luogo incredibile in cui a volte sembra valere tutto
e altre volte, chissà perchè, invece no.