domenica 4 marzo 2007

Kunming - Cina, 4 marzo 2007

Sto seduto al French café quando mi arriva una chiamata di HLN (iniziali del nome cinese), una ragazza che ho conosciuto tempo fa, che ho incontrato soltanto due volte, e che da tempo non si faceva sentire.
Mi invita a raggiungerla per bere un te. Le chiedo se è lì con qualche amico. Mi risponde che non è da sola, quindi decido di invitare Aviv.
Con lui al mio fianco le conversazioni in cinese (quando non si tratta di dialetto locale, che qui parlano tutti) saranno meno imbarazzanti. E ci potremo dare i turni per chi deve piantare la faccia da babbeo, quando non capiamo qualcosa nemmeno dopo la seconda o terza spiegazione al rallentatore.
Ma Aviv non vuole accompagnarmi, è impegnato con una delle sue amiche dalla vita complicata. Le facce da babbeo oggi le ho vinte tutte io. Tornerò a casa con i crampi alla mandibola.
La serata invece si rivelerà piuttosto vivace. Arrivo al locale elegante in cui HLN ed un amico stanno giocando a carte mentre bevono un te.
Ci restiamo per poco, poi ci spostiamo in un ristorante Hui Zu (una minoranza etnica musulmana) in cui consumeremo una buona cena.
E da lì via verso un Karaoke. Qui trascorro alcune ore giocando a dadi e chiacchierando con HLN mentre i suoi amici storpiano una canzone dopo l’altra.
HLN è estremamente carina.
Fila tutto liscio fino a che non mi imbatto nell’unica nota stonata della serata (a parte ovviamente le grida da gatto in calore di quei cantanti da strapazzo).
E che nota stonata!
Impiegherò parecchio tempo (e un bel po’ di birra) per digerire il rospo e smaltire la rabbia.
Quasi tutti i personaggi che incontro questa sera con HLN sono musulmani, tutti tranne lei.
E si comportano quasi tutti molto bene.
Fino a che il capoccia del gruppo del Karaoke (c’è quasi sempre un capo riconosciuto all’interno dei gruppi di cinesi) mi spiega con una razionalità da gallina le sua agghiaccianti linee guida
“Di dove sei?”.
“Italia”.
“Ah, mi piace l’Italia. Invece non mi piacciono gli Stati Uniti, Israele ed il Giappone.
E poi segue la spiegazione che si sente in dovere di darmi. Da analizzare parola per parola.
“Essendo musulmano, ovviamente odio gli americani e gli israeliani. Essendo cinese poi, ovviamente odio anche i giapponesi”.
Quegli “ovviamente” sono come due pungiglioni nel costato.
Lo so che la tattica che ho adottato, quella di non dire niente e di fare in modo che al più presto si cambi discorso (o meglio ancora che si cambi posto), è quella giusta.
Non servirebbe a niente, ma proprio a niente, litigare con questo gibbone.
Quante parole sprecate in passato. Quanti inutili travasi di bile.
Ma per un bel po’, per non so quanti altri bicchieri di birra, non riesco a scrollarmi di dosso l’imbarazzo per non aver detto niente.
E devo buttarne giù ancora di bicchierini, e concentrarmi sulle altre note stonate, quelle vere, quelle che raggiungono l’orecchio ma non il cuore, per cercare di allontanare dalla mia testa le immagini di A e di Y, i due israeliani che frequento qui a Kunming. E degli altri amici israeliani, americani e giapponesi, che solo nella mia mente reclamano giustizia.
Già, perché lo so già che Y, quando glielo racconterò, liquiderà la faccenda sentenziando semplicemente qualcosa che in italiano suona come “La madre degli scemi è sempre incinta”.
Pochi minuti più tardi non riesco a trattenermi e racconto tutto ad A in un SMS. E anche lui mi risponde con intelligenza e un senso dell’umorismo tutto ebraico.
Per fortuna la birra, un ulteriore cambio di locale e la presenza della sempre più graziosa HLN a poco a poco allontanano quella fastidiosa sensazione.
Ma lo so bene che purtroppo non sarà l’ultima volta che la proverò.
Dopo l’ultimo locale mi portano in un altro ristorante Hui Zu.
Siamo in molti. A noi si è aggiunto un altro gruppo di uomini musulmani.
Due ragazzi, uno per ognuno dei due gruppi, inscenano un pietoso germoglio di rissa.
Gli altri uomini dei due gruppi, tutti ubriachi fradici, si barcamenano tra atti di machismo e tentativi di riportare la calma nella piccola sala della povera famiglia di ristoratori, musulmani anch'essi, che a quell’ora di mattina, invece di tornare a casa, sono costretti ad fronteggiare inermi un’eventuale distruzione del loro locale.
Le donne ed io, per nascondere l’imbarazzo, non stacchiamo le labbra dalle bacchette e continuiamo a succhiare i tagliolini piccanti.
Sedata la rissa e spolverati i piatti usciamo.
Il capoccia di turno, probabilmente innamorato di HLN, spinge lei in un taxi e me in un altro.
HLN se ne va senza nemmeno salutarmi, io aspetto che si siano allontanati, mi scuso con il tassista, esco dall’auto e ritorno a piedi.

giovedì 1 marzo 2007

Kunming - Cina, 1 marzo 2007

Incontro Jennifer (nome inglese, quindi falso, quello vero, cinese non lo ricordo) al Prague café. Ho letto il suo annuncio in una bacheca alcune settimane fa.
Cercava un insegnante di spagnolo o qualcuno con cui fare scambio linguistico.
L’ho chiamata, mi ha risposto che l’insegnante l’ha già trovato, uno spagnolo che è arrivato in città da poco.
Per alcuni giorni abbiamo continuato a scambiarci qualche SMS e poi abbiamo deciso di incontrarci per un caffè ed una chiacchierata. Ed eccoci qua.
Parliamo inglese, di spagnolo conosce soltanto poche parole.
“Perché ti interessa studiare lo spagnolo?”.
E’ l’ovvia domanda con cui rompo il ghiaccio.
Perché le piace la Spagna, un giorno vuole visitarla, magari trovare un lavoro, viverci.
“E poi lo spagnolo lo puoi usare in molti altri posti”.
E’ abbastanza ferrata in geografia e per un po’ ci intratteniamo con una interessante conversazione sul sud America, che probabilmente non si riuscirebbe a mettere su nemmeno con molti occidentali.
Però in sud America non ci vuole andare. Anzi all’inizio sentenzia convinta che “non le piace”.
Incalzata dalla mia curiosita si spiega meglio e mi dice che in realtà non è che non le piaccia, il suo inglese non è perfetto e non ha scelto bene il termine. Semplicemente non le interessa.
Le piace il calcio. Ma quello italiano, a differenza di molti suoi connazionali, non è il suo preferito.
Segue con interesse quello francese e quello spagnolo.
“E perché?”.
“Perché mi piace il calcio offensivo, gli italiani giocano solo in difesa”.
Solo gli italiani? Il solito clichè, ma se si tratta soltanto di calcio, chi se ne frega.
Mi viene in mente un’altra stranezza però.
“Ma come, se ti piace il calcio offensivo. Beh, allora il Brasile è la squadra che fa per te”.
“No, no. Francia e Spagna”.
Niente da fare, con il sud America non vuole proprio aver niente a che fare.
Abbandonato l’argomento calcio parliamo di molte altre cose.
Non è decisamente una bella ragazza, ma è molto sveglia e preparata.
La cosa che mi colpisce di più me la dice più tardi, quando Wen Lin Jie, la via dei caffè occidentali, si è già tinta del giallo intenso del tramonto Yunnanese.
“La vedi quella scuola, dall’altra parte della strada?”.
La conosco bene quella scuola elementare, ci passo davanti tutti i giorni.
E riconosco le divise e i fiocchi rossi al collo dei ragazzini che la frequentano.
Tutti con le scarpe firmate e le mamme che li aspettano all’interno di costose auto straniere.
Appartengono tutti a famiglie benestanti.
“E’ una delle scuole elementari più prestigiose di Kunming”.
“Ma è privata?”.
“No, lo sai che le scuole private in Cina sono generalmente quelle di qualità inferiore”.
Non ne sono sicuro. Ma so per certo che alla maggior parte dei cinesi piace pensare che sia così.
“Ma allora come si spiega che i ragazzini che la frequentano sono tutti ricchi? Qual’è il criterio utilizzato per il diritto all’iscrizione? Vi accedono soltanto i bambini appartenenti alle famiglie del quartiere? (Ci troviamo nei dintorni del parco del Cui Hu, un’area per gente benestante). O vengono utilizzati criteri basati sui meriti scolastici?”.
“No. Vi accedono soltanto i figli dei cinesi che si possono permettere la costosa retta d’iscrizione”.
“Quanto?”
“Alcune migliaia di RMB per quadrimestre”. (Un euro vale all’incirca 10 RMB).
In Cina il governo traccia una netta linea di demarcazione tra le scuole pubbliche di serie A e le altre.
E per l’accesso a questi istituti fa pagare rette degne di alcune scuole private occidentali.
Sembra che non ci siano nemmeno programmi per il conseguimento di borse di studio rivolti agli studenti meritevoli appartenenti a famiglie meno abbienti.
Programmi del genere vengono lanciati soltanto per l’accesso alle università (e anche per queste i livelli qualitativi sono molto variabili, e ben noti a tutti).
Un altro bell’esempio di come il comunismo in Cina sia ormai soltanto una parola vuota.